La procura di Aosta sta preparando le richieste di rinvio a giudizio e gli eventuali accoglimenti di proposte per riti e misure alternative nell'ambito delle indagini sulla presenza di amianto in alcune cave valdostane. Otto erano gli indagati a vario titolo per reati ambientali e in ambito amministrativo e lavorativo e tra questi Luigi Pietro Bianchetti, 65 anni, dirigente dell’assessorato regionale delle Opere pubbliche, Dipartimento ambiente – settore Attività estrattive, Rifiuti ed Economia circolare. Per lui, però, è stata chiesta l'archiviazione delle accuse.
Assistito dall'avvocato aostano Jacques Fosson, a Bianchetti, titolare dell'Ufficio Cave regionale, era contestata la redazione e la protocollazione illegittime di autorizzazioni e concessioni estrattive di alcune cave a Issogne. Dalle indagini era emersa una certa superficialità quando non una vera e propria negligenza rispetto alle necessarie attività autorizzative e di controllo sulla presenza di sostanze potenzialmente nocive: basti pensare che da alcuni anni i tecnici minerari della cosidetta 'polizia mineraria', funzione amministrativa regolarmente istituita in Valle d'Aosta con 'sede' nell'Ufficio Cave diretto da Bianchetti, non effettuano ispezioni 'mirate' sulla presenza di amianto nelle cave di inerti. Al termine delle indagini, gli inquirenti hanno ravvisato condotte complessive dell'Ufficio forse censurabii sul piano operativo-amministrativo ma non penalmente perseguibili: da ciò la richiesta di archiviazione delle accuse contro Bianchetti in corso di formulazione da parte della Procura di Aosta.
Gli altri indagati sono Attilio e Niccolò Bencaster, titolari della società Cave Priod di Issogne; i fratelli Renato e Marino Dal Bosco di 77 e 80 anni (assistiti dai legali Maria Rita Bagalà, Andrea Giunti e Michel Milliery del foro di Aosta), Christian Dal Bosco (54, avvocato Alex Micheletto) proprietari dell'omonima cava di marmo verde poi divenuta 'Marmo Verde Alpi' a Issogne e Fabio Croatto, ingegnere e tecnico dei Bencaster. Sono stati indagati a vario titolo per non aver adottato tutte le misure di sicurezza previste dalla normativa a tutela dei lavoratori nelle attività estrattive e per presunte violazioni delle disposizioni che regolano l’estrazione del marmo.
L’inchiesta, coordinata dal pm Giovanni Roteglia, era stata avviata alla fine dell’estate 2024, quando un professore di geologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia scoprì casualmente, aprendo un sacchetto di pietrine ornamentali acquistate per il bricolage, la presenza di una polvere biancastra dal sospetto aspetto fibroso. La provenienza del materiale, indicata sull’involucro, lo spinse a contattare l’Arpa locale e poi a consegnare direttamente il sacchetto agli uffici dell’agenzia, che a sua volta informò i colleghi dell’Arpa Valle d’Aosta. La segnalazione arrivò infine ai carabinieri, dando avvio a una delle indagini ambientali più delicate degli ultimi anni. Le verifiche del Reparto operativo dell’Arma, allora guidato dal colonnello Tommaso Gioffreda, confermarono che quelle pietre provenivano da una cava di marmo verde a Issogne riconducibile ai fratelli Marino e Renato Dal Bosco.
Da quel momento si aprì un fascicolo che, nei mesi successivi, si estese anche alla società Cave Priod, oggi di proprietà dei Bencaster, e all’intera filiera di trattamento, spedizione e distribuzione del materiale. Le indagini, condotte con il supporto del Nucleo operativo ecologico – NOE, portarono i militari a perquisire numerosi siti di stoccaggio e rivendita, ricostruendo un quadro complesso e in parte ancora oggetto di approfondimento. Sul fronte delle autorizzazioni pubbliche, l’attenzione degli inquirenti si era concentrata anche sugli atti rilasciati dall’assessorato regionale delle Opere pubbliche, ovvero da Bianchetti. Era quindi emersa una gestione superficiale quando non lacunosa delle verifiche obbligatorie: la polizia mineraria, ad esempio, da anni non effettuava ispezioni nelle cave dei Dal Bosco e in altre strutture analoghe. La chiusura delle indagini porta però anche elementi nuovi e più sfumati rispetto alle prime ipotesi. Per la famiglia Dal Bosco, inizialmente al centro della contestazione principale, la posizione penale risulta oggi ridimensionata: gli accertamenti successivi hanno infatti evidenziato che, una volta rilevati i superamenti dei valori di amianto, hanno interrotto le volate in cava e adottato tempestivamente le misure necessarie al ripristino dei parametri entro i limiti di legge. Un comportamento ritenuto dagli investigatori significativo ai fini di una diversa valutazione del profilo di responsabilità. Inoltre, sempre nella cava Marmo Verde Alpi – dissequestrata nel corso dell’indagine – pur risultando formalmente in regola la documentazione relativa a salute e sicurezza, gli inquirenti contestano che i lavoratori non fossero adeguatamente formati per le mansioni svolte e non disponessero dei necessari dispositivi di protezione individuale, come mascherine e altri DPI specifici per quel tipo di lavorazioni. Nella cava Priod Savino dei Bencaster – tuttora sotto sequestro – gli investigatori hanno invece riscontrato diverse irregolarità nella documentazione obbligatoria, tra cui la mancata indicazione del rischio per i lavoratori derivante dalla presenza naturale di fibre di amianto nella pietra verde.
Nel frattempo, un quinto indagato, l’impresario veneto D. S., subappaltatore della società dei Bencaster, e difeso dal legale aostano Pasquale Siciliano, ha già definito la propria posizione scegliendo il patteggiamento: per lui è stata applicata una pena di due mesi di reclusione per violazione delle norme di sicurezza, sospesa condizionalmente. La scelta è stata valutata dalla procura come un elemento di chiusura parziale di uno dei fronti dell’indagine.


patrizio gabetti



