Viviamo in un’epoca in cui la videosorveglianza è ovunque: telecamere nelle strade, nei negozi, nei luoghi di lavoro e persino nei condomini. La promessa è quella di garantire sicurezza, prevenire crimini e proteggere i cittadini. Ma a quale prezzo? Il confine tra protezione e invasione della privacy è sempre più labile, e le controversie su questo tema non mancano.
In Europa, la videosorveglianza è regolata dal Regolamento UE 2016/679 (GDPR), che stabilisce principi chiave per il trattamento dei dati personali. Secondo il GDPR, l’uso delle telecamere deve rispettare il criterio della liceità, ovvero le riprese devono avere una base giuridica chiara. In altre parole, non si possono installare telecamere ovunque senza motivo: il loro uso deve essere autorizzato e rispettare le regole previste dalla legge. Altro criterio è quello legato alla necessità ossia devono essere utilizzate solo quando non esistono alternative meno invasive; e ancora il criterio della proporzionalità, quindi, il controllo, deve essere limitato allo stretto necessario. Per ultimo ma non meno importante, il criterio della finalità: le immagini raccolte devono avere uno scopo preciso e non possono essere usate per altri fini.
In Italia, il Garante della Privacy ha stabilito che chi installa telecamere deve informare chiaramente i cittadini con cartelli visibili, specificando chi gestisce i dati e per quanto tempo vengono conservati. Ma il dibattito sulla videosorveglianza è acceso. Da un lato, c’è chi sostiene che le telecamere siano ormai indispensabili per la sicurezza pubblica, soprattutto in un’epoca di crescente criminalità e rischio concreto di azioni terroristiche. Dall’altro, c’è chi teme che si stia scivolando verso una sorta di 'società della sorveglianza', in cui ogni nostro movimento viene registrato e analizzato. Un caso emblematico è quello delle telecamere intelligenti con riconoscimento facciale, vietate in diversi Paesi europei per il rischio di violazioni della privacy.
Questi sistemi possono identificare le persone in tempo reale, creando un archivio digitale dei movimenti di milioni di cittadini. Ma la vera domanda è: fino a che punto siamo disposti a sacrificare la nostra privacy per sentirci più sicuri? La soluzione? Trasparenza e regolamentazione. È fondamentale che le leggi siano applicate con rigore, garantendo che la videosorveglianza sia usata solo quando strettamente necessario e nel rispetto dei diritti fondamentali. E nel frattempo la tecnologia avanza, e la domanda resta: siamo davvero liberi, se siamo sempre osservati?