“Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza”. Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.
Sono parole di san Paolo che leggiamo nella seconda lettura; a uno sguardo superficiale possono sembrare assurde: come può la debolezza divenire forza? Viviamo in un tempo nel quale i limiti sono visti come negativi, bisogna mostrare di essere sempre al top, sani, belli, forti, super impegnati ed efficienti, sereni e felici a costo anche di fingere. Tutto questo è causa di grandi ansie nei giovani così come negli adulti; guai mostrare segni di cedimento, il minimo errore è considerato un fallimento totale, viviamo perennemente in competizione e tutto ciò logora e non ci fa certo star bene.
San Paolo ci mostra una via di libertà e serenità che consiste nel saper accettare le debolezze, nel guardarle per ciò che sono, nel chiamarle per nome scoprendo che possono essere addirittura un punto di forza. Per prima cosa mettiamoci davanti a Dio, sotto la sua luce e con grande onestà chiediamoci: quali sono i miei punti deboli? Senza fingere, senza prenderci in giro da soli, non raccontiamoci storie e non costruiamo alibi stravolgendo la realtà anche se nella parte di mondo nella quale viviamo vige questo pensiero: devi essere al top ad ogni costo, da ogni punto di vista perciò se sei anziano devi essere giovanile a tutti i costi, sui social devi sempre postare immagini che mostrano che sei sempre felice, in festa, effervescente; nell’ambito sociale devi dimostrare che sei super impegnato e non è ammessa nessuna pausa, nessun riposo, a costo di sacrificare la salute e le persone più preziose quali la famiglia e gli amici. E’vietato mostrare qualsiasi segno di debolezza a costo di andare avanti con antidepressivi o di assumere sostanze per mantenere in piedi la facciata.
E’ chiaro che non vado a buttare in faccia a chiunque i miei problemi però avrò comunque il diritto di dirli a qualcuno e di poterlo guardare in faccia senza per questo sentirmi una nullità! San Paolo ci aiuta ad avere uno sguardo sereno su noi stessi, ci ricorda che siamo preziosi pur con i nostri punti deboli, non perdiamo valore se li ammettiamo e li mostriamo anzi ci incamminiamo verso la libertà perché impariamo ad avere uno sguardo positivo su di noi, a sorridere dei limiti e ad accettarci per ciò che siamo; c’è ben di più, riconoscere con onestà le debolezze ci apre all’umiltà e alla fede, scopriamo infatti che non possiamo contare solo su noi stessi ma abbiamo innanzitutto bisogno degli altri e poi anche di Dio.
Quando ci troviamo in difficoltà, quando non riusciamo a fare le cose come vorremmo, quando esperimentiamo i nostri limiti in differenti ambiti immediatamente ci soffriamo perché ci dà fastidio ammetterlo però quella difficoltà può rivelarsi una preziosa risorsa in quanto ci costringe a non confidare solo sulle nostre forze, i nostri mezzi e la nostra intelligenza ma anche a chiedere aiuto ad altre persone e non c’è nulla di male in tutto ciò anzi. In questo senso dobbiamo leggere ed interpretare la frase di san Paolo: “quando sono debole, è allora che sono forte” infatti quando avverto i miei limiti scopro che nella vita non posso confidare esclusivamente su di me ma devo saper chiedere aiuto agli altri e anche al Signore.
Sulla scia di quanto detto mi viene alla mente uno dei più grandi artisti del ‘900 insieme a Picasso, si tratta del francese Henry Matisse (1869-1954) la cui arte si può così sintetizzare così: il colore che sembrava destinato soltanto a riempire i disegni diviene protagonista assoluto e prende forma. Nel 1941 subisce un importante intervento all’intestino che gli impedirà di dipingere, è condannato alla sedia a rotelle ma tutto ciò non lo abbatte bensì diviene un’occasione per trovare un altro modo di esprimersi e lo farà con i papier découpés, ritagliando fogli di colore che daranno vita ad una nuova forma d’arte, così come mostra la foto scattata nel 1952 dalla fotografa di origine russa Hélène Adant (1903-1985) che lo ritrae mentre è intento a ritagliare con le forbici. Un limite fisico che sembrava totalmente limitante diventa per Matisse un punto di forza per dare origine ad una nuova stagione artistica.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.