Nonostante sia domenica oggi si festeggia la solennità dei santi Pietro e Paolo, questo a dire quanto siano importanti per la Chiesa, in quanto sono due figure da prendere come esempio. Cosa possiamo cogliere per noi stessi dalla vita di Pietro e Paolo? Volgiamo lo sguardo al Vangelo. Gesù chiede ai discepoli cosa la gente dice di Lui e da ciò che dicono si deduce che avevano le idee piuttosto confuse tranne Pietro che dà una risposta teologicamente precisa: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Gesù si complimenta e gli dice: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”. C’è un passaggio che va sottolineato: “Simone, figlio di Giona”, non si tratta del nome del padre di Pietro bensì Gesù fa riferimento al profeta Giona che troviamo nell’Antico Testamento, l’unico tra i profeti di Israele che ha fatto esattamente il contrario di ciò che Dio gli aveva comandato.
Lo invia a predicare ai temibili abitanti di Ninive ma lui per paura si rifiuta e fugge ma alla fine ritorna sui suoi passi riuscendo a convertire i niniviti. Gesù pur complimentandosi con Pietro per la risposta data gli ricorda che non è già arrivato, dovrà compiere un cammino di conversione. Ecco cosa accomuna Pietro e Paolo; entrambi sono dovuti passare per un cambiamento profondo. Paolo mentre era diretto a Damasco a perseguitare i cristiani cade, perde la vista, Gesù gli parla e abbandonerà la vecchia strada per divenire l’apostolo che per primo predicherà non solo agli ebrei ma ai pagani, cioè a tutti, rivelando che il messaggio di Cristo e la sua salvezza sono per tutta l’umanità. Paolo capisce che il cristianesimo non è un’idea, una propaganda ma è una Persona, è Gesù che ci cerca, ci ama, ha a cuore il nostro bene.
La conversione di Pietro avverrà anche per lui in un momento preciso, che citano tutti gli evangelisti ma che descrive in modo magistrale Luca. L’apostolo è seduto davanti al fuoco nel cortile della casa del sommo sacerdote e per ben tre volte nega di conoscere Gesù e nel momento nel quale lo sta rinnegando per la terza volta si legge che: E subito, mentre parlava ancora, il gallo cantò. E il Signore, voltatosi, guardò Pietro e Pietro si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti oggi, tu mi rinnegherai tre volte”. E uscito fuori pianse amaramente. Perché piange? Per due motivi, il primo perché sperimenta tutta la sua pochezza e il secondo lo si può dedurre soltanto leggendo il testo nella versione originale greca dove nel momento che Pietro rinnega per la terza volta Luca scrive: E Pietro si sentì guardato dentro da Gesù con uno sguardo di amicizia. L’apostolo non ha più una visione teorica di Gesù, “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”, è bella e giusta la risposta che dà ma non è incarnata nella sua vita, solo dopo aver rinnegato il Maestro scopre davvero chi è; è il Dio fattosi uomo che ci ama anche quando lo rinneghiamo, ci ama anche se conosce le nostre debolezze, ferite e limiti.
Pietro e Paolo ci ricordano che c’è sempre da convertirsi e va fatto più volte nella vita perché siamo teste dure. Ci insegnano che essere cristiani non è seguire una teoria, un’idea, non è fare solo dei discorsi su Dio, non è studiare a memoria dei concetti seppur giusti e santi, non è fare propaganda ma è relazionarci con Qualcuno che ci ama, con un Dio che desidera incontrarci, frequentarci, che ha voglia di intessere un’amicizia con noi, che ci aiuta ad affrontare l’esistenza nella sua concretezza, che ci guarda non per coglierci in fallo bensì con il suo sguardo d’amore desidera incoraggiarci a camminare sulla via della fede e del bene.
Nel salmo 33 ad un certo punto troviamo queste parole: “Guardate a lui e sarete raggianti”. Essere credenti, essere discepoli di Gesù non è seguire dei concetti ma Qualcuno, è cercare di intercettare lo sguardo di un Dio che ci ama, ci incoraggia, ci sostiene, uno sguardo carico di affetto così come evoca il Santo Volto dipinto da Georges Rouault nel 1946 e che personalmente amo molto per la semplicità disarmante ma anche per la profondità che possiede. Vi mostro solo il particolare degli occhi semplici e carichi di affetto, mentre spesso, sul volto di Dio ci mettiamo i nostri preconcetti, i pregiudizi, i sensi di colpa, le nostre elucubrazioni che ci impediscono di coglierne la bellezza e l’amore.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.