Religio et Fides | 22 giugno 2025, 07:09

Gesù benedice il pane e il vino, 1834- Tommaso Gazzarini (1790-1853)

Lettura d'arte domenicale a cura di Don Paolo Quattrone

Gesù benedice il pane e il vino, 1834- Tommaso Gazzarini (1790-1853)

Non vi siete mai chiesti perché Gesù invece di usare pane e vino per istituire l’Eucaristia non ha usato altri alimenti come l’acqua che è preziosa per la vita oppure il the o il caffè? Forse perché il rosso del vino è richiamo al sangue che ha versato per salvarci. Vigna e grappoli poi simboleggiano la terra promessa. Suggestiva è l’immagine che troviamo nel libro dei Numeri al capitolo 13 quando Mosè invia alcuni uomini ad esplorare la terra di Canaan che stava per essere consegnata da Dio ad Israele e questi tornano con alcuni frutti, tra i quali un grappolo d’uva gigantesco.

Il vino ci ricorda che ciò viviamo a Messa riguarda sia la dimensione terrena che spirituale, non siamo solo corpo, non siamo solo ciò che abbiamo e che facciamo ma possediamo anche anima, c’è un oltre, c’è un di più, c’è una dimensione da non dimenticare e da non trascurare. Il sapore intenso del vino che l’acqua non possiede ci ricorda che l’Eucaristia ha il compito di donare gusto al nostro animo che sovente è inquieto, tormentato, insoddisfatto e per questo siamo sovente in cerca di esperienze e di situazioni che vadano a colmare questo vuoto anche se non sempre sono sufficienti ed efficaci e al contrario possono rivelarsi dannose. Dio è un ottimo cantiniere che può davvero insaporire l’esistenza. Il vino poi è associato alla gioia non nel senso che per essere contenti si debba abusare dell’alcool bensì per il fatto che si apre una bottiglia di vino quando si è in compagnia, per condividere e celebrare una ricorrenza importante e felice; la Messa dovrebbe essere un momento nel quale assaporare la bellezza di incontrarci con Dio e con gli altri e per ricordarci, come sottolineavo domenica scorsa, che poiché siamo ad immagine di Dio non siamo fatti per la solitudine bensì per la relazione.

Veniamo al pane: perché Gesù non ha usato altro cibo come la frutta che era abbondante in quel contesto culturale? Oppure qualche piatto a base di carne, qualche verdura oppure il pesce che ha addirittura moltiplicato come viene raccontato nel brano di Vangelo? Il pane come il vino ha un valore simbolico già nell’Antico Testamento: pensiamo al pane azzimo che gli ebrei preparano in fretta per fuggire dall’Egitto; esso richiama la liberazione, il lasciare il male per affacciarsi al bene. Ogni volta che andiamo a Messa il pane consacrato ci ricorda che c’è sempre un male da lasciare e un bene da riabbracciare, che abbiamo bisogno di chiedere aiuto a Dio per restare sulla retta via.

Il pane è poi l’alimento base che tutti dovrebbero avere sulla tavola anche se non è così per tanti che vivono in contesti di povertà e di guerra. Esso significa che Gesù desidera donarsi a tutti senza distinzioni, che la comunione è un cibo spirituale base per ogni credente, per alimentare la fede, per avere la forza per amare e sperare. Il pane è prezioso ma anche semplice, è composto di pochi ingredienti e questo rivela che Dio ama manifestarsi nella semplicità mentre a volte rischiamo di renderlo complicato, contorto, perché associamo a Lui gli orpelli e le macchinazioni che ci creiamo. Pane e vino sono accomunati da un fatto: entrambi non si trovano già pronti in natura ma richiedono il lavoro e la creatività dell’uomo: questo vuol dire che Dio ama entrare nella concretezza della nostra vita e noi dobbiamo presentargliela.

A Messa le ostie consacrate vengono poste dentro un contenitore chiamato patena e il vino dentro il calice, quando il sacerdote li pone sull’altare ricordiamoci di mettervi dentro la nostra esistenza con le sue luci ed ombre, con le sue bellezze e ferite.

'Gesù benedice il pane e il vino' (1834) è un dipinto del pittore livornese Tommaso Gazzarini (1790-1853), conosciuto per lo più per opere a tema religioso realizzate su committenza pubblica o privata nel territorio livornese, pisano e fiorentino. La solennità del Corpo e Sangue di Gesù è un invito a ricordarci, ogni volta che vediamo il sacerdote consacrare pane e vino e quando andiamo a ricevere a comunione, che lì c’è Gesù che si dona a noi per nutrire la nostra anima, per spalancare il nostro sguardo oltre l’orizzonte materiale, per donare gusto e gioia ai nostri cuori, per aiutarci ad incamminarci e a restare sulla via del bene, per ricordarci che Dio ama la semplicità, che ama tutti senza alcuna distinzione, che possiamo sempre mettere nelle sue mani la nostra vita. 

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it