"Io non sono mai stato, non sono e non sarò mai un 'ndranghetista. A me la 'ndrangheta fa schifo". Lo ha detto e ribadito, quando ne ha avuto l'occasione durante tutte le fasi del processo scaturito dall'Operazione Geenna contro una locale di 'ndrangheta attiva in Valle, il 45enne aostano Roberto Alex Di Donato.
Difeso dagli avvocati Wilmer Perga e Anna Vittoria Chiusano, insieme al fratello Marco Fabrizio (53 anni, condannato a nove anni ma in attesa di ricalcolo della pena per rinvio della Cassazione a nuovo Appello per due capi d'imputazione) e ad altri 14 indagati era finito in carcere il 23 gennaio 2019 con l'accusa di associazione mafiosa: secondo la Dda di Torino "aveva il ruolo di partecipe" della presunta 'locale' di Aosta "in quanto si metteva a disposizione di chi svolgeva ruoli e compiti direttivi ed organizzativi (...) partecipava alle discussioni ed alle dinamiche relative ai momenti essenziali per la vita dell'associazione" e "interveniva per risolvere problemi degli altri associati" oltre a recarsi "in Calabria a portare informazioni ed 'ambasciate' necessarie per la vita del sodalizio".
Roberto Di Donato come il fratello aveva scelto il processo con rito abbreviato (senza contradditorio in aula ma unicamente sugli atti delle indagini) ovvero quello celebrato a Torino (Ad Aosta si è svolto il processo ordinario) ed era stato condannato in via definitiva in terzo grado di giudizio a cinque anni e quattro mesi di carcere. E' tornato in libertà dopo quattro anni e mezzo di detenzione godendo di uno sconto di pena per buona condotta e da quando è rientrato ad Aosta, circa un mese fa, non è sottoposto ad alcuna misura di sorveglianza.
Anche il 51enne aostano Francesco Mammoliti aveva subìto identica condanna nel medesimo procedimento ma, a differenza di Di Donato, non ha goduto di alcuno sconto di pena per buona condotta e anzi è stato trasferito dal carcere di Asti ad altro istituto di pena.