Non so a quanti è capitato, almeno una volta nella vita, di assistere a una scena che il nostro cervello rifiuta di registrare come tale e di vivere poi con il rammarico per aver perso l'occasione di entrare a piè pari, in quella scena, per poterla interrompere. Ma non c'è niente da fare; le sinapsi non si attivano, il collegamento sensoriale s'inceppa e noi perdiamo il senso di ciò che sta accadendo. Spesso si tratta di un meccanismo di difesa di fronte a qualcosa di così ignobile e spaventoso da farci dubitare che ciò che vediamo è realmente ciò che è.
A me è accaduto circa 25 anni fa ad Aosta, mentre camminavo lungo il trafficato corso Battaglione. Era tarda primavera o estate e stavo rientrando a casa a piedi quando, all'altezza di alcuni condomìni una rossa Ferrari con targa elvetica si fermò a bordo strada. Dalla parte del conducente scese un uomo di circa 60 anni (ma poteva averne meno, impossibile trattenere nella mente certi particolari con il passare degli anni), abbronzato e piuttosto sovrappeso (questo lo ricordo bene) in camicia e bretelle che si portò all'altra portiera, la aprì, prelevò una bambina che poteva avere sette, otto anni e la condusse per mano per pochi metri. Ecco il primo particolare della scena che la mia mente rifiutò di accettare per quello che era: la bambina era truccatissima e vestita in modo assurdo, impossibile per la sua età, provocante in maniera indecente: portava un succinto e scollato vestitino animalier, calze a rete e sandali con il tacco. Una 'mise', tra l'altro, stridente anche con il clima caldo di quei giorni.
La bimba lasciò la mano dell'uomo (che risalì subito in auto) e attraversò la strada di corsa per raggiungere un altro uomo, più giovane (trenta, trentacinque anni o poco più) comparso improvvisamente sul marciapiede (uscito da una vettura o dall'androne di un palazzo?) magro, con la barba incolta e vestito in modo dimesso, con abiti leggeri di colore blu. Il secondo particolare che vidi nettamente ma che non fui in grado sul momento di interpretare correttamente fu che la piccola teneva in una mano una o più banconote e che l'uomo giovane - con tutta evidenza suo padre o uno zio o comunque qualcuno che aveva molta familiarità con la bambina - dopo averla presa in braccio si fece scivolare in tasca il denaro per poi allontanarsi con lei velocemente.
Anche la Ferrari ripartì immediatamente e tutto questo mentre io continuavo a camminare e, passo dopo passo, cercavo di elaborare in maniera organizzata ciò che avevo visto ovvero: un uomo ben vestito, di mezza età o anche più, forse di nazionalità svizzera, sceso da una Ferrari insieme a una bambina vestita come una prostituta in tenuta da lavoro o una pornoattrice sul set e che teneva in mano delle banconote, strappategli poco dopo di mano in tutta fretta da un altro uomo, di età tale da poter benissimo essere il padre della piccola il quale, dopo averla presa in braccio, si allontanò velocemente così come la Ferrari. Nulla sembrava legare l'uomo giovane a quello più anziano: certamente non la classe sociale e nemmeno l'aspetto fisico; nulla se non quella bimba passata da una mano all'altra in una manciata di secondi. Nessuno dei tre aveva proferito parola, il tutto si era svolto in meno di un minuto in pieno giorno in una delle strade più trafficate e frequentate della città.
Non deve forse stupire se ci misi un pochino a mettere insieme quelle immagini e farle scorrere nuovamente nella mente fino a comprenderne chiaramente il significato. Da quel momento subentrò in me la rabbia, il forte rammarico, anzi il rimorso per non aver fatto nulla, per non aver capito subito cosa stava accadendo e aver lasciato quindi che accadesse.
Ma cosa avrei potuto fare? Su chi mi sarei potuto scagliare? Per lanciare quali accuse? Nemmeno potei fotografare i protagonisti di quella scena: a quel tempo con i cellulari si poteva soltanto telefonare o inviare sms e io manco lo avevo con me, il cellulare. E così la rabbia e il rimorso per non aver colto l'attimo me li porto ancora dentro.
Ovviamente a tutto ciò è possibile dare anche un'altra lettura, ovvero quella che io diedi a tutta la scena nell'immediato: un nonno ricco che riaccompagna a casa la nipotina - figlia di sua figlia ma che vive invece con il papà separato e spiantato - e prima di lasciarla le mette in mano dei soldi da consegnare al disgraziato genero. La piccola è vestita in cosplay porno? Beh, si sa che gli abitanti di certi cantoni svizzeri quanto a gusti nell'abbigliamento lasciano molto a desiderare...
Questa seconda ipotesi è sicuramente rasserenante quanto altrettanto poco credibile.
Tornando al presente, è altissima in questi giorni la sensibilizzazione sulla violenza di genere, sulla teoria di femminicidi che si allunga sempre di più, sui soprusi e maltrattamenti di cui migliaia, milioni di donne sono vittime ogni giorno.
L'invito che rivolgo a me stesso e a chiunque stia ora leggendo è quello di mantenere attive le sinapsi del cervello, di tenere accesi i neuroni, di saper interpretare correttamente eventuali e malaugurate circostanze in cui una donna subisce violenza o molestie da un uomo.
Anche senza trovarsi di fronte a situazioni come quella in cui sono incappato io quel giorno ormai lontano e che non ho saputo riconoscere prontamente proprio perché troppo 'irriconoscibile', aliena e avulsa perfino dalla malvagità 'normale', è assai probabile, purtroppo - perché le statistiche dei casi di violenza sono fatte di numeri e i numeri danno le probabilità - che almeno una volta ci si imbatta in un episodio di abusi o si venga in contatto con una persona che sta subendo maltrattamenti.
Facciamo in modo di accorgercene, allora e di portare il nostro immediato aiuto; non lasciamo solo chi da solo non è in grado di difendersi. E facciamolo chiamando il 112, certo, ma anche alzando la voce e facendoci sentire senza timore, perché quasi sempre chi picchia le donne o abusa di minori e disabili alla prima voce grossa sa farsi solo piccolo piccolo: è la legge del bullo e del marito violento, che alza le mani sul debole ma non sa reggere lo sguardo di un suo pari peso...
Quanto a me, se ho scritto qui e per la prima volta in assoluto l'esperienza che ho vissuto e per la quale ancora oggi mi dolgo di non aver saputo intervenire, la mia speranza (mai è vana una speranza) è che quella bimba, oggi donna, legga questo editoriale, si riconosca e, se non lo ha già fatto, trovi il coraggio necessario. Non è mai troppo tardi.