A memoria di cronista, le 'notizie dal carcere' hanno sempre interessato assai poco i lettori dei giornali. Quello delle celle che si richiudono dietro le spalle degli esseri umani è classificato un pianeta lontano, una realtà che non ci toccherà mai perché non appartiene alla nostra vita quotidiana di 'bravi' o quantomeno 'normali' cittadini. Invece ciò che di male e di bene accade nelle carceri ci riguarda tutti, perché tutti possiamo finire in prigione dall'oggi al domani e per i motivi più diversi. Non si deve necessariamente essere criminali o terroristi per entrare in cella. Un solo momento di ordinaria follìa in una vita irreprensibile può costare la galera: ne sanno qualcosa i padri che si sono fatti giustizia da soli per lo stupro delle loro figlie; i lavoratori che hanno reagito con violenza all'ennesimo sopruso di un 'padrone' ma anche semplicemente i tanti Michael Douglas che un bel giorno han detto 'basta' e si sono ribellati con la forza, anche se solo per poche ore, a un sistema opprimente e non più tollerabile.
E che dire degli innocenti condannati? In prigione si può entrare e ci si può restare a lungo pur senza aver commesso alcunché di male, per un banale errore giudiziario e a riprova abbiamo evidenze tutte 'valdostane' che ce lo ricordano ogni giorno.
Tutto questo dovrebbe farci riflettere una volta di più sull'imponderabilità della vita e di conseguenza sulla rilevanza delle notizie che provengono dai mondi sconosciuti degli Istituti di pena.
E c'è un motivo assai meno egoistico ma altrettanto primario, che dovrebbe renderci sensibili alle tante, troppe problematiche carcerarie che stanno esplodendo con rinnovata criticità appena oltre le nostre sempre meno rassicuranti 'comfort zone': nessuna persona, nemmeno il detenuto che si è macchiato di gravi delitti, deve essere privata della propria dignità e dei diritti elementari di sopravvivenza perché negarglieli significa venir meno anche alla nostra, di dignità.
Invece ciò che sta accadendo quotidianamente nelle carceri italiane, soprattutto in quelle del Nordovest quindi praticamente a casa nostra è davvero un attacco ai concetti stessi di 'recupero sociale' e 'giusta punizione': impossibile chiudere gli occhi di fronte all'inquietante escalation di suicidi, di violenze, di soprusi, di gravi danneggiamenti e quindi di perdita costante e abnorme della dignità che sembra non avere precedenti anche perché alimentata da uno Stato che si rivela arreso alla propria cronica incapacità organizzativa e gestionale dell'apparato detentivo.
L'istantanea dei nostri Istituti di pena è quella di uomini e donne - chi in tenuta da carcerato chi in quella da carceriere, senza distinzioni di ruoli - abbandonati a sé stessi dentro una polveriera in procinto di esplodere: chi si crede 'al di fuori' e pensa di non essere nemmeno sfiorato dalle schegge dell'esplosione commette un grave errore di valutazione. Piaccia o no, la nostra esistenza è fondata fin da piccolissimi sulla disciplina e la prigione è la punizione estrema utilizzata dalle 'discipline' per rieducare e riabilitare; scuole, luoghi di lavoro ma persino rapporti familiari e personali sono spesso paragonati a 'prigioni' come se di questo termine se ne fosse perso il vero significato.
Usiamo la parola 'carcere' con leggerezza, come similitudine dialettica per rappresentare condizioni disagevoli e insopportabili, ma il carcere siamo anche noi, comprime la libertà di esseri umani come noi e l'atto di dimenticarsene è esso stesso un delitto.