C'è un aspetto della politica - ma ancor più dei suoi aspiranti protagonisti - che periodicamente torna a ricordarci quanto sia labile il confine tra ambizione e arroganza, tra legittima aspirazione e presunzione patologica.
Ad Aosta, in relazione alle prossime elezioni regionali e comunali, si è verificata una circostanza in questo senso paradigmatica. Un avvocato, non nuovo a manifestazioni di smisurata autostima quanto di arrogante disprezzo, in questi giorni ha ritenuto di offrire la propria disponibilità a candidarsi in una lista elettorale di centrodestra, ponendo però una condizione per lui inderogabile: l’esclusione di un altro professionista, suo collega, da lui giudicato "squalificante" per il livello e la reputazione della compagine politica e della lista stessa.
Nella sua visione, evidentemente distorta, la propria presenza sarebbe stata un valore aggiunto indiscusso, mentre la presenza del collega un vulnus intollerabile e persino 'screditante' la propria immagine.
Il risultato? Il referente elettorale del partito ha congedato l'autoproclamatosi principe del foro con molto garbo ma altrettanta fermezza, lasciando invece 'aperta' l'adesione alla lista all’avvocato tanto disdegnato dal collega. Una lezione di buon senso, di equilibrio, di necessaria umiltà che dovrebbe caratterizzare chi si propone per un incarico pubblico.
C’è una morale semplice in questa vicenda: quando l’ego supera la misura, diventa controproducente. La politica non può essere il terreno di esercizio delle rivalità personali, né il palcoscenico per regolamenti di conti travestiti da ragionamenti di opportunità.
Il narcisismo, spesso confuso con la competenza, prima o poi presenta il conto. In questo caso lo ha presentato in modo piuttosto rapido. E ha ricordato che nessuno è indispensabile. Soprattutto quando si ritiene tale.