Negli ultimi decenni abbiamo compiuto passi notevoli nel campo tecnologico, medico e scientifico. Solo vent’anni fa erano inimmaginabili opportunità, servizi e comodità delle quali oggi possiamo usufruire e tutto questo è frutto della creatività ed intelligenza che Dio ci ha donato però vi è la possibilità di andare incontro ad un rischio serio: pensare che ciò che ci siamo dati possa renderci del tutto autonomi senza aver più bisogno degli altri. Cerco qualcosa o un’indicazione stradale e vado su internet; ordino merce, cibo e spesa da casa; lavoro presso la mia abitazione senza dover uscire; posso utilizzare le piattaforme televisive e guardare ciò che voglio comodamente seduto sul divano; comunico e gioco con chiunque stando a distanza, sono tutti aspetti che facilitano la vita ma che non possono illuderci di poter fare a meno delle relazioni. Nella prima lettura leggiamo di Mosè che, pur potendo contare sull’aiuto di Dio, ha comunque bisogno di Aronne e di Cur. Vi cito il passaggio: “Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani”. Quante volte avvertiamo pesantezza? Questo non solo per il fatto che tiriamo troppo la corda e ci carichiamo di troppi impegni ma vi è un ulteriore motivo: sovente pretendiamo di portare avanti le responsabilità da soli senza farci aiutare. Ci lamentiamo di dover sbrigare numerose faccende da soli ma ci chiediamo se abbiamo chiesto aiuto e collaborazione? Diciamo di non riuscire a dare il giro, di essere oberati ma ci domandiamo se sappiamo chiedere una mano agli altri? Il salmo 120 ci ricorda che dobbiamo avere l’umiltà di chiedere aiuto anche a Dio: ‘Alzo gli occhi verso i monti: da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto viene dal Signore: egli ha fatto cielo e terra’. A volte non sappiamo dove sbattere la testa, facilmente passiamo dall’affanno all’ansia, forse sarebbe buona cosa iniziare la giornata affidandola al Signore, chiedendo il suo sostegno, invocando lo Spirito Santo perché ci doni l’energia interiore e la creatività per affrontare le incombenze e giunti a sera intrattenerci un po’ con il Signore per ringraziare di quanto vissuto, per chiedere perdono delle mancanze e mettere nelle sue mani ciò che ci inquieta. Forse inizieremmo con più fiducia e andremmo a dormire più sereni. Nel Vangelo leggiamo di una parabola che Gesù racconta ai discepoli per sottolineare loro l’importanza di pregare sempre, senza stancarsi mai. Non pregare o farlo poco rivela che confidiamo troppo in ciò che abbiamo, nelle nostre capacità e forze mentre rivolgerci a Dio ci ricorda che abbiamo talenti e virtù ma non bastano, serve di più, serve lo Spirito Santo. È sempre di grande effetto la frase con la quale si conclude il brano di Luca: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”. Se Gesù dovesse tornare oggi cosa troverebbe? Gente che ha fiducia soltanto nei mezzi che ha, nel proprio smartphone e che si illude di non aver bisogno né degli altri e tanto meno di Dio ritenuto un residuo del passato per gente debole ed ingenua? C’è una tentazione terribile che spesso il demonio suscita nei cuori e nelle menti ed è quella di pensare di cavarcela da soli, nelle questioni pratiche così come in quelle interiori. So chiedere aiuto? Ho qualche persona fidata che mi vuole davvero bene per ciò che sono e che non mi giudica, con la quale posso ogni tanto sfogarmi, confidarmi e confrontarmi? Chiedo sostegno a Dio? Gli porto la mia esistenza con le sue luci ed ombre? Da poche settimane alla GAM di Milano si è inaugurata una mostra dedicata a Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907) celebre per il dipinto il Quarto Stato. Egli seppe raccogliere dal divisionismo l’attenzione per il colore e la luce cercando di raccontare in modo personale e poetico l’umanità, la spontaneità e la verità, come nel caso di Prato fiorito (1900-1903). Due bambini sono seduti uno di fronte all’altro ma lei è ripiegata su sé stessa e non guarda lui. La vita si fa ancor più pesante quando crediamo di cavarcela da soli, chiusi in noi stessi, senza volgere lo sguardo verso gli altri e verso Dio.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.