“Fino a quando, Signore, implorerò aiuto e non ascolti, a te alzerò il grido: «Violenza!» e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione?”, sono parole della prima lettura, tratta dal libro del profeta Abacuc che potrebbero essere pronunciate anche oggi di fronte al male al quale assistiamo a Gaza o nella guerra senza fine in Ucraina. Perché Dio non agisce? Come fa a restare inerme? Perché non ascolta le grida di chi è disperato, di chi fugge dalla propria terra, di chi vede morire sotto i propri occhi gente innocente? Siamo sicuri però che il problema sia Lui? È Dio che non ascolta e non agisce oppure siamo noi sordi e non pronti a compiere il bene?
In realtà il Signore agisce concretamente e lo fa attraverso quegli uomini e quelle donne che cercano di portare il bene nelle sue molteplici forme, là dove sembra trionfare solo il male. Spesso invece siamo sordi e prestiamo orecchio soltanto a ciò che di negativo ci viene riportato e perdiamo di vista che pur nell’orrore c’è chi lavora per soccorrere, per portare aiuto e speranza. Dio ci pare muto di fronte a certi eventi ma sempre dalla prima lettura ci offre una risposta: Il Signore rispose e mi disse: “Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette, perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine”. Il male c’è, si fa sentire, ferisce nei corpi e negli animi ma avrà un termine, non è eterno mentre l’amore sì. Qualcuno potrebbe obiettare: però nel frattempo quanta gente muore e soffre? Ciascuno di noi però può porre fine al male ora, là dove vive. Nel salmo ad un certo punto leggiamo: Se ascoltaste oggi la sua voce! “Non indurite il cuore come a Merìba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova pur avendo visto le mie opere”. Dio ci ha indicato la via del bene ed in modo particolare con la venuta del suo Figlio ma noi prestiamo ascolto alle sue parole? Non sono soltanto alcuni potenti della terra ad essere sordi ma lo siamo anche noi quando testardi prestiamo orecchio soltanto al nostro io con tutto ciò che ne consegue.
Nella seconda lettura san Paolo scrivendo a Timoteo dice: “Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato”. Dio ha fatto a tutti due doni preziosi: la vita e la libertà. Come li usiamo? Spesso pensiamo che religione e fede vogliano opprimerci invece Dio non ci obbliga né a credere né ad amare, ci lascia liberi di scegliere… però quando usiamo malamente la libertà e la vita non puntiamo il dito verso di Lui. Arriviamo dunque al Vangelo che va contestualizzato, altrimenti non se ne coglie il senso: poco prima Gesù invita i discepoli a perdonare sempre, ed è per questa ragione che gli chiedono: “Accresci in noi la fede!” e Lui risponde: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe”.
Non serve tantissima fede, tantissimo amore o compiere chissà quali imprese, ma ciò che ci è chiesto è mettere un briciolo di amore e di perdono là dove viviamo e questo può fare la differenza. Mettere in circolo il bene e la preghiera perché hanno effetto anche se ci possono sembrare poca cosa. Vorremmo salvare il mondo e poi ce ne freghiamo di quanto accade in casa nostra; vorremmo fermare i conflitti e non ci impegniamo nemmeno un briciolo per evitare quelli tra vicini di casa, tra parenti, tra colleghi. Il male al quale assistiamo non sia un motivo per sentirci inermi o peggio per evadere nell’indifferenza bensì uno stimolo a ricercare il bene là dove viviamo.
Le sculture della giovanissima artista giapponese di cui conosciamo solo lo pseudonimo, Euglena, sono piccolissime, fragili e delicate composte con semi di tarassaco, come nel caso di 'Watage' (2017) e per ricambiare l’attenzione dell’osservatore che si avvicina, si muovono con lui e ne accompagnano il respiro. “Siamo servi inutili” dice Gesù ai discepoli e si rivolge anche a noi: ci sembrerebbe più utile costruire la pace a Gaza ma Gesù ci chiede di costruirla là dove viviamo e il riverbero di ciò che compiamo nel nostro piccolo si ripercuoterà in noi e attorno a noi, perché tante guerre sparse nel mondo, più di cinquanta ad oggi, sono riflesso dei tanti conflitti che lasciamo albergare dentro i nostri cuori e nell’esistenza quotidiana.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.