Religio et Fides | 20 luglio 2025, 07:00

'L’accoglienza', 1993-1994; Jean-Marie Pirot (1926-2018)

Lettura d'arte domenicale a cura di Don Paolo Quattrone L’accoglienza, 1993-1994.

'L’accoglienza', 1993-1994; Jean-Marie Pirot (1926-2018)

 

Domenica scorsa ho sottolineato che amare significa provare compassione, muovere il cuore per aprirci a Dio e agli altri. La prima lettura e il Vangelo della XVI domenica del tempo ordinario ci rivelano un’altra faccia dell’amore: l’ospitalità.

Il testo tratto dalla Genesi descrive il bellissimo incontro tra Abramo e la Trinità dove il patriarca ospita le tre persone presso la sua tenda offrendo loro da bere e da mangiare. Nel brano di Luca, Gesù viene accolto a casa delle due sorelle di Lazzaro, Marta e Maria. Ospitalità è una parola che intende due significati poiché c’è chi la dona e chi la riceve. La prima considerazione da fare è se io so ospitare Dio e occorre fare una precisazione che attingo da quella stupenda preghiera che è il Veni Sancte Spiritus della quale sottolineo questa frase: “ospite dolce dell'anima”.

Noi preghiamo non per portare Dio dentro di noi, perché c’è già, bensì per godere della sua presenza. Usando l’immagine della tenda della prima lettura possiamo affermare che il Signore è già nella nostra tenda: dobbiamo soltanto accorgerci della sua presenza. Egli dimora in noi ma spesso noi siamo altrove, è come se avessimo un ospite in casa e ce ne andiamo via perché presi da altro. Dio è l’ospite prezioso che ci abita, si tratta di intrattenerci con Lui e in concreto ritagliandoci ogni giorno il tempo per sostare in silenzio, per ascoltare la sua Parola, per farla divenire spunto di riflessione e di ispirazione per le nostre scelte e poi per dialogare con Lui, per affidargli i pesi e per ringraziare.

Io sono ospitale nei confronti di Dio? Nel Vangelo di domenica scorsa, Gesù ricordava l’importanza di amare il Signore con tutto il cuore; ecco cosa significa nel concreto: relazionarmi con Colui che dimora nel mio intimo. Gesù sottolineava però anche l’importanza di amare il prossimo e questo avviene con un atteggiamento ospitale nei confronti delle persone, concretamente avviene praticando la prima forma di accoglienza che è il sorriso. Quando qualcuno si accosta a me come mi pongo? Ho lo sguardo cupo e ombroso perché preso dai miei pensieri e problemi oppure so staccarmi da questi per accogliere chi ho di fronte? Non vuol dire essere finti, bensì ricordare che ogni volta che una persona mi si pone dinanzi è una novità, è un invito a uscire da me stesso, ad andare oltre i miei guai, è un’occasione per mettermi in gioco.

Altra forma di accoglienza da non sottovalutare è il saluto. Come il sorriso, è una delle prime forme per far sentire a proprio agio una persona, è accorgermi che esiste; non so se vi è mai capitato di entrare in un luogo e constatare che nessuno saluta; ci si sente fantasmi. Salutare è ammettere che tu esisti e che meriti considerazione.

C’è un particolare del brano del Vangelo che desidero sottolineare: Gesù è accolto a casa di Lazzaro da entrambe le sorelle, ma Marta è molto preoccupata di fare bella figura, è troppo concentrata su sè stessa; preparare da mangiare è certamente un bel modo di accogliere, sedersi a tavola insieme è un bellissimo segno di ospitalità ma Marta eccede nello zelo a tal punto che cade nella frenesia e nell’ansia. Maria invece compie un grande gesto di ospitalità: ascolta Gesù. Ospitare qualcuno, fargli spazio così com’è significa saperlo ascoltare. C’è una terza dimensione dell’amore, quella verso di sé infatti Gesù dice: “ama il prossimo tuo come te stesso”. C’è una persona che è sempre con noi e siamo noi stessi, non sempre ci sopportiamo e allora è importante praticare l’ospitalità anche verso di noi imparando ad accettarci senza idealizzarci, riconoscendo i limiti ma anche le qualità, i margini di cambiamento, dedicandoci del tempo ed in primis per riposare e per trattarci bene.

Arcabas è lo pseudonimo di Jean-Marie Pirot (1926-2018); fin da giovane intraprende la via dell’arte cimentandosi in diverse forme d’espressività ma c’è un tema che accomuna le sue opere, la Bibbia, come nel caso del dipinto 'L’Accoglienza', che fa parte del ciclo dei 'Discepoli di Emmaus'. Due uomini fanno entrare in casa una figura che si riferisce a Cristo ma che allo stesso tempo può simboleggiare le persone e anche noi stessi. Amare è saper trovare tempo per stare con Dio che ci abita, con coloro che incrociamo nel cammino e anche saper stare con noi stessi accettandoci così come siamo.    

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.

Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.

Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.

Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it