Religio et Fides | 20 ottobre 2024, 06:00

'Le Tour', 2017 - Tim Layzell (1982)

'Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti' Mc 10, 35-45

'Le Tour', 2017 - Tim Layzell (1982)

Domenica scorsa ci siamo imbattuti in un uomo triste perché incapace di donarsi. Nel Vangelo di questa domenica, troviamo Giacomo e Giovanni che cercano di ottenere un posto d’onore nel gruppo degli apostoli e gli altri dieci si indignano con i due fratelli semplicemente perché non avevano avuto per primi l’idea di chiedere a Gesù di ottenere un ruolo privilegiato.

Un altro elemento rende grigia e triste l’esistenza, ossia il vivere perennemente in competizione illudendoci che avere gli altri dietro, staccati o sotto i nostri piedi, serva a renderci appagati e sicuri.

Il britannico Tim Layzell (1982) fin da giovanissimo fu appassionato di auto e all’età di tredici anni vinse il prestigioso premio Young Motoring Artist Award del British Racing Drivers Club, per giovani pittori appassionati di arte legata al mondo dei motori. Oggi è considerato uno dei principali artisti contemporanei che affrontano il tema dell’automobilismo e delle competizioni come nel caso dell’opera: Il Tour (2017). Quando parliamo di Tour pensiamo immediatamente a quello ciclistico ma non è sempre stato così; infatti durante gli anni '60 il Tour de France Automobile era un evento di alto profilo che si svolgeva per una settimana con una serie di gare e prove ad alta velocità sulle strade francesi più suggestive e importanti. Nell’opera vediamo due auto che sfrecciano e che si sfidano ad alta velocità su una strada di montagna.

Noi ci sfidiamo in diversi ambiti con il tentativo di primeggiare e di prevalere e spesso lo facciamo con gli occhi rivolti allo specchietto per assicurarci che stiamo tenendo dietro gli altri; a volte si arriva anche alle sportellate pur di non far passare nessuno. Sovente diciamo di essere stanchi, sfibrati, stressati, insoddisfatti: credo che questo dipenda dal fatto che già viviamo una quotidianità impegnativa, in più la affrontiamo con un eccessivo spirito competitivo incrementando così i motivi per essere ansiosi. Iniziamo da piccoli a scuola e poi nel mondo del lavoro e sembra quasi che il nostro valore dipenda da quanti abbiamo sorpassato. Certamente è importante imparare a impegnarci, a fare bene, a ottenere un bel voto o avanzare nella carriera, ma dobbiamo chiederci se ciò che ci sprona a prendere un 10 o a raggiungere quel posto è l’amore per ciò che stiamo facendo o il desiderio di essere migliori agli altri.

Il rischio della competitività può esserci in qualsiasi contesto e gli apostoli ci ricordano che c’è anche in quello ecclesiale, dove i ruoli, gli incarichi vengono spesso visti come un modo per sentirci superiori, dove facciamo cose per dare l’impressione di essere più efficienti e zelanti, dove si vede l’altro come un avversario che mi ruba la scena e non qualcuno con cui collaborare per raggiungere un obiettivo comune. Domandiamoci: il mio parlare e agire è mosso prevalentemente dal voler prevalere per stare in cima a una classifica fittizia? Cosa dobbiamo o vogliamo dimostrare? Chi è mosso continuamente da uno spirito competitivo fa vivere male se stesso e gli altri perché interpreta tutto ciò che fa come una gara dove deve dimostrare di essere sempre il migliore; in più è disposto a qualsiasi mezzo pur di raggiungere questo obiettivo.

Gesù insegna agli apostoli e a noi a compiere un’inversione di mentalità e ci offre questo consiglio: “Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Perché spesso viviamo in competizione e ricorriamo anche a mezzi poco corretti pur di ottenere prestigio e potere? Perché abbiamo bisogno di percepire che valiamo ma Gesù ci libera da questo inganno. Egli ci ha insegnato che noi abbiamo valore già solo per il fatto che esistiamo; non dobbiamo conquistarci nulla, dobbiamo vivere più sereni.

Perciò percorriamo la strada dell’esistenza non di corsa, con gli occhi sempre rivolti allo specchietto retrovisore ma godiamoci il viaggio, cerchiamo di fare bene ciò che ci compete e soprattutto ricordiamoci che la vita diventa davvero piena, bella, solare e grande quando sappiamo camminare gli uni accanto agli altri, aspettandoci e gioiendo di ciò che ognuno ha da offrire di sé, accogliendo l’altrui persona come una risorsa, un alleato e non un nemico da temere e da tenere a distanza.  

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it