La nostra religione non è qualcosa di evanescente ma si gioca anche in segni molto concreti come quello del cibo che torna a essere protagonista anche in questa domenica. Nel Vangelo Gesù si definisce come il pane vivo disceso dal cielo che si dona all’umanità per essere mangiato, aspetto che ci rivela un aspetto importante di Cristo: Lui ama donarsi e noi dobbiamo soltanto andargli incontro per riceverlo. Spesso ci immaginiamo un Dio da inseguire, da scovare, quasi si nascondesse chissà dove, come se amasse farsi desiderare ma non è affatto così, Egli si concede a noi sempre e tanto più a Messa. E' vero che possiamo percepire il Signore in molti modi; immergendoci nella natura, pregando per conto nostro, rilassandoci e staccando dalla solita frenesia ma non basta: c’è un momento e un luogo dove possiamo vederlo, toccarlo e riceverlo ed è durante l’Eucarestia.
Una prima domanda che faccio a me in quanto prete e poi a chi è solito partecipare alla Messa è la seguente: durante le celebrazioni si ha la sensazione che stia accadendo qualcosa di meraviglioso e di pazzesco? E aggiungo: chi entra in chiesa per caso o per sbaglio o ci viene solo per qualche occasione, ha la percezione che sta accadendo qualcosa di davvero bello? Con questo non vuol dire ricorrere a pizzi, merletti o barocchismi perché possiamo avere orpelli di ogni tipo e comunque dare una percezione di vuoto. Quando celebriamo la Messa riusciamo, attraverso i gesti, la cura del luogo e di ogni azione liturgica e la bellezza dei canti a far cogliere a noi stessi innanzitutto e poi agli altri che stiamo partecipando a qualcosa di profondo e di meraviglioso? Non si tratta di rincorrere la perfezione e nemmeno di ricercare gli effetti speciali o tanto meno di rispolverare antiche pratiche preconciliari e nemmeno attaccarci morbosamente a gesti che diventano soltanto un modo per illuderci di essere più pii e devoti. Ad essempio come ricevere la comunione, in bocca o addirittura in ginocchio, ognuno la riceva come crede, in mano o in bocca ma ciò che conta è se ci rendiamo conto di chi stiamo ricevendo! Sono più preoccupato di dimostrare agli altri come vada presa la comunione o di gioire per il fatto di riceverla? Credo che quando andiamo in un locale a mangiare apprezziamo se vi è una cura della pulizia e dell’ambiente, della tavola, della presentazione dei cibi e questo anche se andiamo in trattoria, perché la bellezza si trova anche e soprattutto dove c’è un’eleganza semplice e non ostentata. Gesù stesso non ha deciso di donarsi attraverso chissà quale cibo complesso, non ha scelto un piatto gourmet sofisticato ed elaborato ma ha utilizzato del pane e vino, alimenti semplicissimi ma preziosi. Le nostre celebrazioni dovrebbero essere allo stesso tempo semplici, curate, eleganti e vive affinchè si intuisca davvero che lì si sta manifestando qualcosa di immenso. A Messa riceviamo quel pane vivo che è Gesù che si dona a noi, un cibo spirituale preziosissimo e allora occorre che noi sacerdoti ci poniamo questa domanda: io come tratto quel pane e vino che consacro grazie allo Spirito Santo? Come tratto Dio che ho tra le mani? Non sto chiedendo quanti centimetri di pizzo hanno le mie maniche o quante genuflessioni faccio ma se mi rendo conto a cosa sono chiamato ogni qualvolta che presiedo l’Eucarestia.
A quanti hanno un ruolo particolare durante la celebrazioni: diaconi, ministranti, chierichetti, lettori, accoliti, cantori chiedo: vi rendete conto del perché siete lì e che di conseguenza il servizio che svolgete va compiuto con cura ed amore? E ai fedeli che celebrano e partecipano dai banchi: vi accorgete della bellezza di ciò che accade, o siete solo lì a timbrare il cartellino per mettervi l’animo in pace e magari senza fare nemmeno la comunione?
Tavola imbandita (1896-1897) è un’opera di Henry Matisse (1869-1954), una donna di servizio con cura sistema la tavola che dovrà accogliere gli ospiti e il cibo. Il soggetto venne scelto dall’artista per fare alcune prove sulla disposizione degli oggetti nello spazio.
Abbiamo anche noi la stessa attenzione nel preparare le chiese affinchè siano accoglienti; le celebrazioni perchè siano vive e anche noi stessi prima di iniziare una celebrazione per renderci conto di ciò che sta per accadere e di chi stiamo per incontrare?
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.