Religio et Fides | 21 aprile 2024, 07:00

'Piazza Venice 9', 1952-William Congdon (1912-1998)

“In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati”At 4,8-14

'Piazza Venice 9', 1952-William Congdon (1912-1998)

Tempo fa ho seguito una conferenza dove il relatore, a un certo momento dell'incontro, ha espresso questo concetto: non è una canzone o un amico che ti salvano ma solo Gesù!  Quelle parole mi hanno colpito; ci ho riflettuto e mi sono detto che non le condividevo appieno perché mi sembravano troppo estreme. La stessa percezione la si può avere leggendo la prima lettura dove Pietro, parlando di Cristo, afferma: “In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati”.

E’ certamente vero che l’unico che ci salva dal peccato e dalla morte è Gesù ma non dobbiamo dimenticare che proprio perché desidera farlo si impegna al masssimo per  raggiungere questo obiettivo. Se volgiamo lo sguardo al Vangelo, Cristo si definisce il buon pastore che si prende cura delle pecore;  allora le cose assumono un’altra dimensione e colorazione. Dio desidera con tutto sé stesso salvare ciascuno di noi e credo che per farlo utilizzi ogni via possibile, iniziando da quella ufficiale che passa per la Chiesa e i sacramenti e continuando a manifestarsi attraverso  strade del tutto inattese e impensate come una canzone, un libro, un film, un’opera d’arte di qualsiasi genere. Queste hanno il potere di aprire  una breccia dentro di noi e ci fanno scoprire che vale la pena vivere, che noi siamo preziosi, che forse c’è di più.

Lo stesso può accadere attraverso l’incontro e il dialogo con qualcuno, credente o meno, con la nascita di un’amicizia. Cristo risorto è davvero l’unico che salva e per farlo Egli ricorre a qualsiasi mezzo e canale pur di liberarci dalla disperazione, dalla solitudine, dallo sbandamento, dall’egoismo, dalle brutture esistenziali, dal pensiero addirittura di farla finita. Egli desidera condurci alla fiducia, alla speranza, alla fede, al perdono, alla vita e all’amore. Se quella strada è l’unica che Gesù intravede per salvarmi, Lui, che è il buon pastore, la percorre pur di tentare di venirmi a prendere. Naturalmente io posso scegliere liberamente di lasciarmi afferrare per mano o no. L’amore del Signore per ciascuno di noi è davvero immenso, così come è sconfinata la sua creatività. Lui è disposto a percorrere qualunque via e non a caso addirittura ha compiuto l’impensabile e l’immaginabile: si è fatto uomo ed è morto per noi!

Siamo in pieno tempo pasquale, un momento particolare dell’anno liturgico nel quale dovremmo cogliere, annusare, fiutare la presenza di Cristo risorto che pervade tutta l’esistenza e che riesce a passare anche nei luoghi più oscuri, nelle situazioni più disperate, che può aprire porte anche là dove sembra non esserci più via d’uscita e per farlo utilizza ogni mezzo in grado di veicolare bontà, bellezza, accoglienza, umanità. Tutti elementi capaci di toccare il cuore e la mente umana come la natura, l’arte o le persone. Noi spesso siamo delle pecore nere, ribelli, ci andiamo a infilare in roveti e dirupi dai quali sembra che non se ne possa uscire ma per Cristo risorto e buon pastore non esiste luogo, situazione, dramma, peccato, bruttura, fallimento, solitudine dove Lui non possa raggiungerci utilizzando ogni tipo di stratagemma.

A questo proposito mi sorge alla mente un artista statunitense, William Congdon (1912-1998). Congdon ebbe un'infanzia segnata dal difficile rapporto con il padre, la giovinezza altrettanto marcata negativamente dal disagio verso la società capitalista americana, e fu ferito profondamente dai drammi della seconda guerra mondiale ai quali assistette partendo come volontario con l’American Field Service in Europa guidando ambulanze. Tutto queste esperienze, poco per volta, fecero crescere in lui un profondo senso di impotenza e di orrore nei confronti del male che abitava ogni uomo e che si manifestò nella storia. Si convinse che non vi fosse salvezza fino ad arrivare a sentire quanto fosse insopportabile il suo vissuto ...che si sarebbe potuto concludersi solo attraverso il suicidio. Cosa salverà William dal baratro?

Lasciare gli Stati Uniti e compiere un viaggio in Italia; visitare  Venezia, Napoli, Roma. Tutto questo lo salvò  e gli permise di percepire l'esistenza anche della luce, della bellezza che abita le cose, dell’uomo e della storia.

Assisi sarà la svolta definitiva, l’incontro con don Giovanni Rossi, fondatore della Pro Civitate Christiana, lo aprì alla fede e a Cristo. Piazza Venice, 9 del 1952 è uno dei quadri che dipinse nella Serenissima, rivelandoci che in essa colse una luce inaspettata; quella luce che gli spalancò definitivamente le porte della e alla vita.

Dio si serve anche di una città per salvare l’uomo, per andare incontro alle sue pecore smarrite.    

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.

Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.

Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.

Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

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