Religio et Fides | 14 aprile 2024, 07:00

'Il geografo' (1668-1669) - Jan Vermeer

"Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?” Salmo IV della terza domenica dopo Pasqua

'Il geografo' (1668-1669) - Jan Vermeer

Domenica scorsa ho sottolineato che in noi convivono luci e tenebre, pregi e difetti, ferite e potenzialità e la pace interiore viene dal saper tenere in armonia tutti questi aspetti, accettando le parti negative e valorizzando quelle positive. Le prime sono utili perché ci ricordano che non siamo Dio, ci aiutano a restare nell’umiltà per non crederci perfetti e non tentare di volerlo essere. Necesssario quindi domandarci quali siano i punti luminosi della nostra personalità, esistenza e storia personale; occorre riconoscerli, ringraziare per essi per poi frequentarli ed utilizzarli. Individuiamo il positivo che c’è in noi e cerchiamo di restare ancorati a esso pur sapendo che di tanto in tanto dovremo fare i conti con le nostre zone d’ombra. Nel salmo 4, che la liturgia della terza domenica ci propone, vi è questa frase: “Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?”. Spesso non sappiamo riconoscere le luci che possediamo e ci soffermiamo maggiormente sulle zone d’ombra perché non ci poniamo sotto la luce di Dio, ci guardiamo da soli e in modo spietato. Troviamo invece tempi e occasioni per guardarci in compagnia del Signore, invochiamo il suo Santo Spirito e ci accorgeremo così delle nostre bellezze. Ecco che scopriremo i nostri lati positivi che vanno tirati fuori, messi in gioco e usati per donarli agli altri. Ecco che sapremo individuare le luci della nostra storia personale rendendoci conto che non tutto è andato storto, che non sono da buttare e intuiremo che disavventure, sbavature o ferite nel tempo, si sono rivelate delle risorse, delle occasioni per crescere, per guardare la vita e le persone con altri occhi. Solo così riconosceremo che vi sono attività e interessi che ci fanno del bene, che rendono bella la nostra esistenza, valorizzandola e coltivando tutto ciò. Proprio perché in noi abitano anche le tenebre occorre non indugiare troppo su di esse bensì restare sintonizzati sulle luci. Cosa mi fa bene? Quale occupazione, quali frequentazioni e abitudini?

San Pietro, dalla prima lettura, ci sprona: “Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati”. In noi ci sono sì le tenebre ma non per questo dobbiamo soggiornarvi in pianta stabile. Cerchiamo di convergere verso le zone di luce. Il peccato non è altro che sguazzare in ciò che è torbido e oscuro  intrattenendoci con le brutture; convertirci invece è indirizzarci verso il bene e il bello per valorizzarli. Peccato è non dar voce alle nostre potenzialità e positività. Il ritornello che accompagna la proclamazione del salmo 4 recita così: “Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto”.

Credo che tra le frequentazioni e amicizie sane vi sia anche Gesù Cristo, stare con Lui, intrattenerci ogni giorno alla sua presenza perché è come metterci sotto una luce che ci aiuta a guardarci per quello che siamo davvero. Vedremo certamente le aree oscure ma anche quelle affascinanti dove risiede il buono, nelle quali intrattenerci e dalle quali estrarre il meglio di noi.

Il geografo (1668-1669) è un dipinto dell’olandese Jan Vermeer, esposto presso l’Istituto d’Arte Städel di Francoforte. L’artista amava ritrarre persone normali immerse nella loro quotidianità come se ne cogliesse un nuovo modello di sacralità. I temi religiosi infatti erano spariti dall’arte dei paesi nordici, tanto più in Olanda, questo per via del diffondersi del protestantesimo e per l’affermarsi della borghesia. Vermeer inseriva spesso sullo sfondo delle scene e carte geografiche alludendo al  primato che gli olandesi avevano nel commercio mondiale e di conseguenza nella cartografia. Nel XVII secolo l’uso decorativo delle mappe divenne popolare a tal punto che molti editori ne ripubblicarono anche di vecchie. Il protagonista del dipinto è un giovane geografo che consulta le carte stando alla luce della finestra.

Impariamo a scrutare la mappa della nostra esistenza sotto la luce calda e lo sguardo amorevole di Dio, solo così potremo davvero renderci conto della complessità e bellezza di ciò che siamo. Spesso conosciamo poco di noi stessi rischiando oltretutto di soffermarci sui territori desolati, mentre vi sono molte regioni rigogliose che attendono di essere scoperte e abitate, dalle quali possiamo estrarre risorse preziose e potenzialità buone e belle da investire per noi stessi e per gli altri.

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.

Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.

Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.

Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

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