Editoriale | 03 gennaio 2024, 23:00

Tornare a essere 'valdostani' per tornare a essere liberi

Le guerre nel mondo: la mappa di Caoslandia (per concessione credit Limes)

Le guerre nel mondo: la mappa di Caoslandia (per concessione credit Limes)

C'è una canzone della RSI, 'Le donne non ci vogliono più bene', che forse più di qualunque altra testimonia il sentimento necrofilo, distruttivo e senza speranza che ha nutrito i cuori di milioni di uomini in Europa negli anni bui della Seconda Guerra Mondiale. Una straordinaria celebrazione della Morte come sola 'compagna di vita'. Uccido con coraggio e gioia ma egualmente con coraggio e gioia mi faccio uccidere, scopo di un'esistenza che si realizza nella morte. 

Nei decenni successivi a quell'epopea di massacri selvaggi si è creduto che mai più si sarebbe corso il pericolo di uno sterminio di massa, mai più l'orgia infernale che è stata Auschwitz si sarebbe potuta riprodurre, seppur in forme e luoghi diversi, sulla Terra. Sì, ci sono stati la Corea; il Vietnam; il Cile; gli eccidi 'isolati' come quello di Srebrenica in Bosnia e tanti altri nell'Africa martoriata dalle guerre civili; l'Afghanistan; il Libano, il Golfo solo per citare alcune delle tante guerre e guerriglie dal Dopoguerra. Nessuna di queste moderne atrocità ha mai, però, messo a repentaglio l'intero sistema globale della sicurezza e della pace. Nessuno si è mai sentito realmente in pericolo al di fuori dei perimetri di combattimento. Una guerra poteva essere 'vicina' ma non ci minacciava direttamente, mai. Adesso, invece, non solo il Papa ma persino professionisti di tattiche militari e luminari di geopolitica parlano apertamente di 'Terza Guerra Mondiale a pezzi'.

La globalizzazione è anche questo: nessuno sul pianeta può più dirsi davvero 'militesente' o meglio esente da rischi di trincea. Dove non arrivano i missili a lunga gittata, gli Iskander, le bombe a grappolo possono arrivare i terroristi imbottiti di tritolo (che qualcuno invece chiama martiri, ogni cosa ha i suoi diversi punti di vista), le stragi premeditate nei locali, i Tir lanciati sulla folla.

A guardare la cronistoria delle guerre e delle guerriglie degli ultimi sessant'anni vengono i brividi perché pare emergere un disegno preciso, lucido, spietato. Un piano accuratamente studiato per arrivare a imprigionare il mondo in una rete di minaccia e terrore costanti. Come se ci fosse un filo rosso che lega le guerre statunitensi in Corea, in Vietnam, nel Golfo alle dittature di Bolivia, Cile, Paraguay, Argentina; all'invasione dell'Afghanistan fino alla 'pulizia etnica' nella ex Jugoslavia per giungere all'invasione (o 'controinvasione', anche qui il punto di vista non è trascurabile) russa in Ucraina fino allo 'scontro finale' tra Israeliani e Palestinesi...oh, pardon, volevo scrivere tra Israele e Hamas. Un piano autenticamente 'militare' che, da qualunque parte lo si guardi, pare rafforzare soltanto l'egemonia statunitense nel mondo. Ma è soltanto una suggestione?

Un giorno di febbraio del 2022 ci siamo svegliati con l'attacco russo in Ucraina, che fino a quel momento per molti era stato semplicemente impensabile. Domenica 8 ottobre 2023 ci siamo svegliati con l'attacco senza precedenti di Hamas a Israele e l'immediata risposta della Stella di David sulla già martoriata Gaza, prologo di un'altra e più feroce guerra di annientamento che chi non conosce un po' più approfonditamente le questioni mediorientali certamente non poteva immaginare. 

Due avvenimenti di portata e conseguenze globali che da qualunque parte li si guardi celebrano il recupero dell'egemonia politica e culturale degli Stati Uniti sul resto del mondo e dal mio minuscolo, provinciale pulpito sfido chiunque a dire il contrario, soprattutto se a queste tragedie di natura geopolitica aggiungiamo quella sanitaria (pandemia) e quella umanitaria (migrazioni di massa) non solo incontrastate ma per certi versi persino favorite dal confuso, contraddittorio atteggiamento internazionale da parte degli Usa. Viviamo in Caoslandia, per dirla insieme a Limes.

Sono molteplici i segnali che mostrano come gli Stati Uniti abbiamo certamente riguadagnato, dopo il riflusso 'post 2001' il loro potere egemonico sul resto dell'Occidente, ovvero sull'Europa: sta ora al plurimillenario Vecchio Continente smarcarsi una volta per tutte e provare a cessare di adattare le proprie prospettive sociali, culturali ed economiche a quelle Usa. Dobbiamo convincerci che la cambiale emessa nel Dopoguerra è stata interamente saldata a un cambio euro/dollaro finora vantaggioso solo per quest'ultimo e intanto adesso i cannoni tuonano nuovamente vicini ai nostri confini.

Dico un'eresia e non ho alcun titolo accademico per dirla ma è proprio per questo che si chiama eresia: la Storia ci dice che un'Europa autonoma, autenticamente autonoma, autodeterminata, neutrale ed equidistante dalle superpotenze Stati Uniti, Cina e Russia è possibile. 

E dire che la Valle d'Aosta possa impartire oggi all'Europa lezioni di autonomia o meglio ancora di autodeterminazione può far ridere e gridare alla bestemmia, ma c'è stato un tempo in cui questo avrebbe potuto essere vero. Per diversi decenni la Valle d'Aosta è stata davvero un piccolo ma significativo simbolo di 'carrefour' in Europa e non solo per la sua evidente, centrale posizione geografica. Vi circolavano idee, ancora prima che impianti di risalita (oggi fondamentali per contribuire a garantire benessere, ma impossibili da piazzare ovunque si vorrebbe). Per tornare a essere crocevia intellettuale e fucina di iniziative sarebbe servito proseguire sulla strada della reale autonomia socioculturale di un piccolo popolo montano fortunato come pochi altri per via della sua collocazione, soprattutto, geopolitica. Un popolo capace di tutelare il meraviglioso patrimonio naturale del suo territorio e di farne un microcosmo esemplare, un laboratorio culturale e sociale, terreno di esperimenti solidali e ambientali, economici e amministrativi. Una 'zona franca' non soltanto fiscal-finanziaria e a 360°, insomma, per davvero e non a chiacchiere.

Ora che l'incertezza è divenuta il sentimento dominante e la paura, quella vera, sta bussando anche alle nostre porte, rispolverare le potenzialità di 'quella' Valle d'Aosta dalle mille specificità potrebbe essere non solo utile, ma realmente indispensabile. Non foss'altro per salvare la faccia e l'onore, che in questi tempi di arrendevolezza e superficialità non sarebbe cosa da poco.

Per installare e rendere operativo un tal laboratorio occorre però, anzitutto, rimettersi a studiare per poter riprogettare linee, percorsi e programmi e ciascuno dovrebbe fare la propria parte. Laprimalinea.it è un pulcino ma sicuramente, almeno per amor proprio, ci proverebbe, se ce ne fosse l'opportunità.

Questo articolo è dedicato alla memoria di Davide Spagnoli, esperto studioso di geopolitica e nostro collaboratore, recentemente venuto a mancare. Ho voluto immaginare cosa avrebbe scritto lui, sulle potenzialità realmente 'autonomistiche' della nostra piccola Valle rispetto a Caoslandia. Spero che, da dove si trova ora, non mi lanci troppi strali...

patrizio gabetti