Trentatré pagine per dire che i cinque imputati così come tratteggiati dalle carte degli inquirenti e dalla precedente sentenza di Appello non incutevano alcun terrore di tipo 'mafioso', non erano direttamente legati ai vertici delle 'famiglie' calabresi e pertanto non facevano parte della 'ndrangheta. Tradotto: Se di 'ndrangheta si tratta, descrivetela e comprovatela meglio perché così non basta.
Questo il succo delle motivazioni, depositate pochi giorni fa, per le quali la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione il 24 gennaio scorso annullò quattro sentenze di condanna rinviandole ad altra sezione di Appello per un nuovo giudizio e confermò un'assoluzione piena nell'ambito del processo ordinario denominato 'Geenna' (dal nome dell'inchiesta della Dda e dei carabinieri di Aosta) celebrato in primo grado ad Aosta e in Appello a Torino sulle attività di una 'locale' di 'ndrangheta nel capoluogo valdostano. Le indagini durarono quasi cinque anni e sono state condotte dalla Dda di Torino e dai carabinieri del capoluogo valdostano.
Per Marco Sorbara (nella foto con il fratello Sandro, suo difensore), fu la conferma dell'assoluzione con formula piena (chiesta anche dal procuratore generale) - sentenziata il 19 luglio 2021 in Corte di Appello a Torino - dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.
Sorbara era stato arrestato il 23 gennaio 2019 con altre 15 persone. Con un 'coup de théatre' la Cassazione aveva anche annullato le condanne determinate in secondo grado (ridotte rispetto alla sentenza di primo grado) e aveva rinviato tutto all'Appello: all'ex assessore al Comune di Saint-Pierre Monica Carcea erano stati comminati sette anni di carcere (è ai domiciliari, 10 anni in primo grado); per il consigliere comunale di Aosta (Uv) Nicola Prettico otto anni di carcere (nella foto sotto vicino con Monica Carcea) detenuto, 11 anni in primo grado); per il ristoratore aostano Antonio Raso 10 anni di carcere (foto in basso) detenuto, 13 anni in primo grado, assolto anche in Appello dall'accusa di tentato voto di scambio con Sorbara e con il candidato del Pd Fulvio Centoz, mai indagato); per il dipendente del Casino de la Vallée Alessandro Giachino otto anni di carcere (detenuto).
Come Sorbara, Monica Carcea era accusata di concorso esterno in associazione mafiosa. Erano invece imputati di associazione per delinquere di stampo 'ndranghetista - e quindi di essere membri del locale di Aosta - Raso, Prettico e Giachino. Tutti tranne Sorbara devono dunque tornare in Appello per essere nuovamente giudicati.
Ma intanto si legge che i Supremi Giudici romani hanno ritenuto "deboli" le ricostruzioni dei carabinieri e della Dda circa la nascita della presunta 'locale' aostana e "fondate" diverse considerazioni delle difese in merito alla pressoché nulla iniziativa criminale degli imputati.
La Cassazione smonta l'accusa sotto un doppio profilo: sia sul collegamento con la 'casa madre' ovvero la 'ndrina 'Nirta-Scalzone' (che dalle intercettazioni e dagli atti di indagine appare 'fumoso', mai pienamente dimostrato) e sia sulla capacità intimidatoria degli imputati che non avrebbero mai avuto "un programma delittuoso" tipico di qualunque associazione mafiosa e pertanto necessario per definire il gruppo una reale associazione per delinquere di stampo 'ndranghetista. Gli 'ermellini', di fatto, mettono in serio dubbio l'esistenza di tale associazione per delinquere, almeno in relazione ai cinque imputati, che qualora esistesse non ne farebbero parte. Resta il fatto che un'altra Sezione di Cassazione pochi giorni fa ha invece sentenziato definitivamente che una 'locale' di 'ndrahgeta esiste eccome, ad Aosta.
Per la costola processuale 'torinese' del processo Geenna (gli imputati giudicati in primo grado dal tribunale di Torino) l'udienza in Cassazione si è svolta il 20 aprile scorso con la conferma delle condanne per associazione di tipo 'ndranghetista comminate a Bruno Nirta, 63enne di San Luca (12 anni, sette mesi e 20 giorni di carcere), a Marco Fabrizio Di Donato, 52 anni, in Appello condannato a nove anni ma oggi raggiunto dalla stessa pena inflitta a suo fratello Roberto Alex Di Donato ovvero cinque anni e quattro mesi di carcere e a Francesco Mammoliti (cinque anni e quattro mesi). Per Marco Fabrizio Di Donato, i giudici hanno invece annullato la condanna per estorsione e quella legata al voto di scambio politico-mafioso (416 ter) disponendo il rinvio alla Corte d’appello di Torino.