Cronaca | 08 maggio 2023, 18:30

'Ndrangheta: Ecco perché per la Cassazione Raso, Prettico, Carcea e Giachino non sono mai stati 'ndranghetisti

'Ndrangheta: Ecco perché per la Cassazione Raso, Prettico, Carcea e Giachino non sono mai stati 'ndranghetisti

A Perugia c'è un solo condannato per il brutale omicidio di Meredith Kercher: il cittadino ivoriano Rudy Guede, condannato in rito abbreviato in via definitiva. Però è stato condannato "in concorso con altri". Questi altri erano, per l'accusa, lo studente Raffaele Sollecito e la sua compagna statunitense, Amanda Knox: condannati in primo grado, assolti in Appello, poi la Cassazione annulla la sentenza di secondo grado e rinvia; nel secondo Appello arriva la seconda condanna ma poi la Cassazione li assolve definitivamente. Quindi Guede resta condannato per omicidio ma "in concorso" con due che sono stati assolti una volta per tutte e altri 'concorrenti' nel delitto non sono mai stati individuati.

Ecco, per quanto riguarda il complesso, articolato processo Geenna c'è la possibilità che accada lo stesso: per la 'costola' dibattimentale di Torino sono stati condannati definitivamente per associazione a delinquere di stampo 'ndranghetista - quindi con la certificazione dei Supremi Giudici che ad Aosta esiste una 'locale di 'ndrangheta -  Bruno Nirta, Marco Fabrizio Di Donato, suo fratello Roberto Alex Di Donato e Francesco Mammoliti; un'altra sezione di Cassazione invece chiede ai giudici di Appello di Torino di rifare il processo a Raso, Prettico, Carcea e Giachino e, in 33 pagine di motivazioni, chiede senza troppi giri di parole di assolverli perché le loro condotte non risultano pari a quelle di una consorteria 'ndranghetista.

Supremi Giudici e difese d'accordo su molti aspetti

Si legge nelle motivazioni di Cassazione che "fondati sono i motivi proposti dalle difese in ordine alla sussistenza del reato relativo alla configurabilità di una 'locale' di 'ndrangheta in territorio valdostano". Rilevano gli 'ermellini' che già in sede di primo Appello i loro colleghi avevano ritenuto "indubbiamente frammentari gli elementi utili a sostenere l'esistenza, in passato, di una 'locale' in territorio della Valle d'Aosta" modificando così "l'impostazione dell'intero impianto argomentativo della pronuncia di primo grado sull'esistenza del sodalizio criminoso". 

Per essere considerata una 'locale' la presunta 'ndrina deve mantenere un chiaro collegamento con la 'casa madre' (in questo caso i Nirta-Scalzone o 'La Maggiore' di San Luca): scrivono i Supremi Giudici che "i passaggi argomentativi della sentenza ( quella di condanna in sede di Appello) sul punto del 'collegamento con la casa madre' ritenuto centrale dalla Corte territoriale, risultano però carenti nella parte in cui finiscono per dare rilievo a elementi che di per sé non dimostrano in concreto il 'collegamento funzionale' della 'locale' aostana con la 'casa madre' calabrese di cui, peraltro, non sono puntualizzati dati relativi alla sua coeva esistenza, strutturazione, organigramma e operatività". Secondo la Quinta sezione di Cassazione la presunta 'locale' aostana mancava dei requisiti tipici di chi si deve rapportare alla 'casa madre' ovvero il 'locale originario' "insediato in Calabria cui compete il mantenimento degli equilibri generali, il controllo delle nomine dei capi-locali e delle aperture di altri 'locali', il nulla osta per il conferimento di cariche, la risoluzione di eventuali controversie, la sottoposizione a giudizio di eventuali comportamenti scorretti di soggetti 'intranei' alla 'ndrangheta, mutandone non soltanto moduli organizzativi e finalità di realizzazione del programma delinquenziale, ma anche la forza di intimidazione conseguita nei territori di originario insediamento".

Riducendo la potenzialità delle dichiarazioni di collaboratori di Giustizia quali Panarinfo e Agresta circa i rapporti di parentela tra le famiglie Nirta e Di Donato e i loro rispettivi gravami penali, i togati Cassazione scrivono poi che "il collegamento" tra la presunta 'ndrina aostana e il 'locale originario' calabrese secondo la Corte territoriale di Appello "dovrebbe derivare da alcuni viaggi di un soggetto, Giuseppe Nirta, avente lo stesso cognome della 'stirpe' Nirta, ad Aosta". Gli ermellini scrivono proprio così, "stirpe Nirta" differenziandola dalla 'ndrina Nirta: "Nel valorizzare la presenza in alcune occasioni di Giuseppe Nirta nel territorio valdostano, la Corte d'Appello ha apoditticamente affermato che 'è  notoria la sua appartenenza alla stirpe dei Nirta di San Luca ed altrettanto noto è il suo curriculum deviante con condanne definitive' (...) in primo luogo va detto che la Corte d'Appello in tale passaggio motivazionale fa riferimento al concetto di 'stirpe' dei Nirta di San Luca, concetto con evidenza diverso da quello di 'ndrina". Per la Cassazione, tale appartenenza di Giuseppe Nirta alla 'stirpe' dei Nirta di San Luca, con indicazione del suo curriculum criminale, non può affatto ritenersi dimostrativa del collegamento 'funzionale' tra l'ipotizzata 'locale' aostana e la 'casa madre' denominata Nirta-Scalzone, in relazione alla cui esistenza e operatività non v'è in effetti alcuna motivazione".

Per la Cassazione la 'locale' aostana in quanto lontana dalla Calabria manca anche di quella imprescindibile "forza di intimidazione intrinseca alla struttura mafiosa" propria di tutte le 'locali' delocalizzate. E le vicende di maggior risalto emerse nel processo, tra cui la lite tra due giovani calabresi per dirimere la quale era intervenuto Tonino Raso, "dimostrano la sussistenza di meri rapporti di forza diversi tra soggetti gravitanti nello stesso ambiente di sottocultura criminale, non certo la capacità di promanare all'esterno la tipica forza di intimidazione che caratterizza un'organizzazione strutturata come la 'ndrangheta".

E ancora: "Tutta la parte della sentenza (di Appello ndr) dedicata all'attivismo del 'clan' nelle questioni elettorali appare viziata da molteplici salti probatori, peraltro non corroborati da ulteriori sviluppi della vita del sodalizio pur ipotizzati nel procedimento 'Egomnia', in relazione al quale è intervenuto un provvedimento di archiviazione". Per la Suprema Corte, essendo "il sodalizio una 'neoformazione' in progressiva via di espansione" il suo programma politico si estrinseca "in un'attività declinata come mero 'tentativo' senza nessuna interferenza nell'attività elettorale, né con riferimento alle elezioni comunali nel 2015 (rispetto alle quali si esclude qualunque interferenza sia per la Carcea sia per Sorbara) e neppure in quelle del 2018, di cui i capi (della presunta 'locale) Bruno Nirta e Marco Fabrizio Di Donato non si occupano, non essendo nemmeno attinti dall'avviso di conclusione indagini del procedimento Egomnia".

Poi scrivono ancora tante altre cose, i Supremi Giudici di Cassazione, tutte tese a dimostrare che no, questi imputati non sono 'ndranghetisti e se lo sono, nelle carte non si legge.

E concludono sostenendo che "così delineate le definizioni attribuite dalla Corte territoriale ai fatti oggetto del processo, è evidente la violazione di legge in cui è incorsa la sentenza impugnata: nel trarre le conclusioni della valutazione delle risultanze processuali in ordine alla sussistenza della fattispecie di cui all'art. 416 bis, la  finisce per fare riferimento sentenza a elementi riconducibili solo ad atti, meramente preparatori, diretti alla formazione di un'associazione per delinquere di stampo 'ndranghetistico". La data del nuovo processo di Appello non è stata ancora decisa.

patrizio gabetti