Ci sono storie giudiziarie che, anche se archiviate penalmente da decenni (in questo caso, nel 1998) sembrano destinate a riemergere ciclicamente, come revenants che non trovano pace. Una di queste ruota attorno alle inchieste “Phoney Money” e “Operazione Lobbing”, avviate nel 1996 dalla Procura della Repubblica di Aosta e guidate dall’allora giovane sostituto procuratore David Monti, oggi alla Direzione distrettuale antimafia di Milano.
Indagini ambiziose, forse troppo, che puntavano a scoperchiare un intreccio internazionale di faccendieri, politici, massoni, uomini dei servizi italiani e statunitensi, individui contigui alla criminalità organizzata, emissari della CIA, iscritti della Lega Nord degli anni Novanta, esponenti siciliani della massoneria e personaggi in grado di incidere sugli equilibri politici nazionali. Un mosaico che l’accusa aveva definito, senza mezzi termini, “la Cupola delle cupole”. Nomi, che, però, sono tornati a farsi vivi, anzi, hanno sempre circolato su più tavoli.
Le indagini di Aosta e la rete Ferramonti–De Chiara
Al centro dei due fascicoli di quasi 30 anni fa finì Gianmario Ferramonti: amministratore della finanziaria leghista Pontida Fin., collaboratore di Gianfranco Miglio, uomo vicino a Umberto Bossi, con solidi rapporti – secondo gli atti dell’epoca – con ambienti dei servizi italiani e stranieri, massonerie di vario rito e personaggi di primo piano come Licio Gelli.
Secondo le risultanze investigative, Ferramonti avrebbe coltivato rapporti stretti con figure come Iginio Di Mambro (alto grado della massoneria di Piazza del Gesù e collegamenti negli USA), l’ex agente SISDE Roberto Napoli, il principe Alliata di Montereale, esponenti della Lega Nord, della nascente Lega Meridionale e personaggi siciliani della massoneria.
Non meno enigmatico il suo legame con Enzo De Chiara, italoamericano considerato da più fonti un emissario della C.I.A., già “consulente” della Casa Bianca, uomo dei Cavalieri di Malta, in rapporto con ambienti massonici statunitensi e perfino residente nello stesso albergo romano frequentato da Gelli.
Un tandem che secondo le accuse dell’epoca avrebbe lavorato per costruire una lobby politico-affaristica capace di incidere sulle scelte dello Stato italiano, dall’assegnazione dei ministeri al futuro dei servizi segreti.
Le inchieste nate quasi per caso
“Phoney Money” e “Lobbing” nacquero quasi accidentalmente, analizzando i conti correnti di due presunti truffatori valdostani che avevano in rubrica numeri di politici nazionali e internazionali.
In pochi mesi Aosta si trovò a gestire una rete che portava in Nicaragua (Paese coinvolto nella vicenda dei titoli falsi, per miliardi di dollari); alle massonerie italiane e statunitensi; ai vertici della Lega Nord degli anni Novanta; ad ambienti della C.I.A.; a soggetti contigui alla ’ndrangheta; - fino agli uffici di Bill Clinton e al capo della C.I.A., entrambi formalmente convocati dagli inquirenti.
Lo stop improvviso: archiviazione, trasferimenti, silenzi
Poi, il gelo.
Dopo mesi di arresti, interrogatori, deleghe internazionali e avvisi di garanzia, l’allora procuratore capo di Aosta Maria Del Savio Bonaudo avocò a sé i fascicoli.
Monti chiese e ottenne il trasferimento alla Procura di Firenze, e il gip dispose l’archiviazione. Tutto sembrava finito. I nomi di Ferramonti e De Chiara sparirono come fantasmi scacciati dalla scena pubblica.
Il ritorno: Report e i fili mai recisi
Nel gennaio 2021 la trasmissione Report di Sigfrido Ranucci riporta alla luce quei nomi ricostruendo le infiltrazioni mafiose nelle “Leghe” del Sud Italia degli anni Novanta.
L’inchiesta televisiva – senza citarle esplicitamente – ripropone dinamiche identiche a quelle al centro di “Phoney Money” e “Lobbing”: movimenti politici locali creati per condizionare la politica nazionale, convergenze tra massoneria, mafie e ambienti dei servizi.
Ferramonti riappare in video dopo 24 anni, definendosi apertamente “gelliano” e parlando di De Chiara come di un uomo “straordinario”.
Il presente: accertamenti riservati ancora in corso
C’è però un elemento nuovo, rimasto finora lontano dai riflettori.
Fonti qualificate confermano che, negli ultimi anni, diversi organismi dello Stato hanno svolto – e stanno tuttora svolgendo – accertamenti riservati sulle vicende e sui protagonisti di Phoney Money e Operazione Lobbing.
Indagini interne, verifiche amministrative, ricostruzioni tecniche e spoglio di documentazione d’epoca puntano a chiarire chi tra quei personaggi abbia avuto rapporti con strutture istituzionali; come questi rapporti siano stati usati; se e in che misura siano stati rallentati, ostacolati o depistati procedimenti giudiziari delle procure di Torino e Aosta negli anni Novanta; se vi siano stati interventi esterni finalizzati a disinnescare indagini considerate rischiose per assetti politici o di intelligence.
Si tratta di attività condotte nel massimo riserbo, non riconducibili a un unico organo ma a più articolazioni istituzionali, comprese strutture con competenza su sicurezza, intelligence e funzionamento dell’amministrazione della giustizia. Nulla trapela ufficialmente, ma il lavoro prosegue.
Una storia che continua a bussare
“Phoney Money” e “Operazione Lobbing” avrebbero dovuto – come disse Monti – “frantumare un sistema globale di malaffare”. Sono invece finite nel sonno polveroso degli archivi anche se, dopo 30 anni, la pressione di quelle carte continua a farsi sentire. E mentre i revenants tornano periodicamente a materializzarsi, c'è chi cerca – silenziosamente – di capire se qualcuno abbia fatto e stia facendo di tutto perché la verità resti sepolta.


pa.ga.



