Due uomini in bianche vesti si presentarono agli apostoli e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”. Sono parole con le quali si conclude la prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, che narra l’evento dell’ascensione di Gesù al cielo di cui si celebra la solennità di questa domenica. Solitamente abbiamo l’abitudine di dire e di pensare che Dio stia nel cielo, su qualche nuvola, in qualche angolo remoto dell’universo ma così facendo rischiamo di renderlo distante. Il cielo non si riferisce a un luogo bensì all’infinito. Dio, infatti, è infinito nel suo essere, nel suo amore e nella sua bontà. Il cielo indica poi l’altrove, l’aldilà dove Dio, gli angeli e i santi vivono, fuori dal tempo e dallo spazio ma allo stesso modo proprio perché Egli è infinito non lo si può contenere e tanto meno relegare in uno spazio delimitato. La Trinità è sì nell’aldilà ma anche nell’aldiquà; Dio è infinito ma non per questo sfuggevole. Possiamo sintonizzarci e incontraci con Lui e allo stesso tempo percepirlo presente e scoprire che agisce nella storia concreta di ogni individuo.
Come? Innanzitutto nella bellezza della natura: guardiamo sì il cielo, i monti, i mari, i paesaggi e gli orizzonti ma per ricordarci che siamo tutti immersi nell’amore infinito della Trinità. Questa percezione personalmente la avverto ogni qualvolta mi accade di celebrare la Messa all’aperto, in montagna o al mare o in mezzo alla natura dove si percepisce che Dio non lo si può rinchiudere in una chiesa. Certamente sta anche lì, ma non solo, non gli possiamo mettere muri, paletti, steccati o circoscriverlo.
Qualche settimana fa ho vissuto questa esperienza precisamente a Machaby, ad Arnad, celebrando la Messa in un prato accanto all’ostello dove abbiamo trascorso due giorni di campo primaverile con i bambini che si preparavano a ricevere la prima comunione. C’erano i genitori, le catechiste e gli animatori, eravamo immersi nella natura, un altare ricavato da un pietrone, i fiori raccolti dai bambini, due croci di legno realizzate da loro e soprattutto un sole splendido, un verde intenso, un cielo limpido e lì tutti abbiamo avvertito un senso di Dio, della sua presenza, della sua infinitezza, del fatto che il suo amore è grande come le vette più alte, è immenso come la volta celeste che ci sovrasta, riempie i polmoni come l’aria fresca di montagna o la brezza del mare. Il clima è stato talmente intenso e raccolto che è venuto spontaneo procedere al sacramento della prima comunione ai bambini in anticipo, lì in quel prato; la domenica successiva in parrocchia, vestiti di bianco, con amici e parenti hanno poi festeggiato la comunione.
Dio lo percepiamo presente ogni volta che entriamo in un luogo sacro, quando sappiamo trovare il tempo per pregare da soli e con gli altri, non importa come e quando ma ciò che conta è che accada; avvertiamo il suo agire su di noi quando celebriamo i sacramenti e poi possiamo percepire tutta la sua concretezza ogni volta che sappiamo mettere amore in ciò che viviamo, là dove c’è qualcuno che si impegna per il bene e per realizzare qualcosa di bello nella realtà nella quale si trova.
Alcuni giorni fa parlando con una persona che ha vissuto tutta una serie di difficoltà, mi sono reso conto che, nonostante le imperfezioni della sua vita, gli ostacoli, le storture che dal di fuori ad un occhio superficiale e giudicante potrebbero far pensare a una situazione non “normale, Dio e il bene erano passati e stavano passando perché non hanno confini, perché non passano soltanto attraverso certi canali ma possono agire, se glielo consentiamo, anche nelle situazioni più impensate, nelle storie apparentemente negative o non riuscite. “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?”.
Davvero, Dio non sta in cielo ma si manifesta e si rende presente ovunque noi avvertiamo la sua infinitezza: nella natura, nella bellezza, nella preghiera personale e comune, nei sacramenti. E’ presente quando amiamo e ci lasciamo amare, quando consentiamo al suo amore di entrare nelle nostre storie pur con le loro storture e sbavature.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.