Questa domenica si celebra la festa della presentazione di Gesù al Tempio chiamata comunemente candelora poiché all’inizio della Messa si benedicono le candele che simboleggiano Gesù luce delle genti e allo stesso tempo il nostro desiderio di accoglierlo. E’ una festività sorta dopo il Concilio Vaticano II che si celebra quaranta giorni dopo Natale e che ha sostituito quella della purificazione della Vergine Maria. Infatti per la legge mosaica, una donna che partoriva doveva sottoporsi, quaranta giorni dopo, al rito della purificazione perché il sangue era considerato materia impura e per questo si doveva donare un’offerta che consisteva in un animale per i più poveri, come nel caso di Maria e Giuseppe, i quali offrivano una coppia di tortore o di colombi come descritto nel Vangelo.
In più era l’occasione per presentare al Tempio, cioè a Dio, il bambino per farlo circoncidere e per essere riscattato in quanto ogni primogenito era considerato proprietà del Signore e di conseguenza i genitori dovevano pagargli l’equivalente di venti giornate di lavoro, cioè cinque sicli. Tutti questi riti e norme stridono con la nostra concezione di Dio e di religiosità eppure a quel tempo ci si doveva attenere a tali pratiche. Nonostante a volte ci lamentiamo che la Chiesa, nel passato e anche oggi, si concentri troppo su precetti e norme, possiamo ritenerci fortunati perché certamente abbiamo la possibilità di rapportarci con Dio in modo più sereno e meno opprimente rispetto al passato e questo proprio grazie alla venuta del Figlio di Dio tra noi.
Del brano del Vangelo mi colpisce il fatto che Gesù in quanto luce divina che viene a rischiarare le tenebre dell’umanità, entra nel Tempio, nel luogo di culto per eccellenza del popolo ebraico. Dio desidera portare proprio là dove è venerato una nuova luce e una nuova visione di religiosità, un nuovo modo di rapportarsi con Lui non più fondato sull’idea di un Dio padrone, da tenere buono mercanteggiando bensì sull’amore e sulla fiducia. E’ un pericolo che possiamo correre anche noi oggi, nonostante la venuta di Cristo e ciò che Lui ci ha rivelato del Padre, il rischio è di avere un rapporto distorto con il divino. Ed eccoci allora al rito della candelora che precede la celebrazione eucaristica: sacerdote e fedeli si radunano fuori dalla chiesa tenendo in mano una candela spenta e a un certo punto mentre colui che presiede dice o canta l’antifona: “Ecco, il Signore nostro verrà con potenza, e illuminerà gli occhi dei suoi servi. Alleluia”, si accendono le candele che vengono benedette e si entra processionalmente in chiesa.
Quella luce evoca due aspetti importanti: il primo è che Gesù facendosi uomo è davvero la luce che viene nel mondo per rischiarare le tenebre, per far luce innanzitutto su chi è davvero Dio, non un padrone di cui aver paura, da tenere buono, del quale conquistarci il favore a suon di rituali bensì un Padre che ci ama sempre, che ci considera figli e non schiavi sottomessi e che con grande libertà si affaccia sulla nostra esistenza e bussa alla nostra porta attendendo che gli apriamo come suggeriscono le parole iniziali del salmo 23: Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria. Ognuno di noi possiede una porta che ci consente di lasciar entrare la luce e la presenza del Signore, possiamo tener chiuso o aprire sta a noi decidere.
Il secondo aspetto perciò al quale ci richiama il rito della candelora è che ognuno di noi può scegliere se desiderare, cercare e accogliere la luce di Cristo come hanno saputo fare due persone molto umili quali Simeone e Anna oppure se rifiutarla come avverrà per molti che vivevano una religiosità di facciata, fondata non sull’amore e la fiducia, non mossi dallo Spirito Santo ma da paure, rigidità ed osservanze sterili e vuote come nel caso di scribi e farisei.
Concludo con un’opera di grande intensità che vi invito a contemplare con la dovuta calma, si intitola, Simeone al Tempio (1669) conservata al National Museum di Stoccolma, dipinta dall’olandese Rembrandt Van Rijn (1606-1669), celebre per i numerosi autoritratti e per i quadri a soggetto religioso caratterizzati da una suggestiva armonia di tenebre e di luce. Nell’opera in questione vediamo l’anziano Simeone che accoglie tra le braccia un luminoso Gesù bambino che sembra diffondere la sua luce sull’intera scena. L’amore di Dio non lo si compra lo si può solo accogliere e abbracciare.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea.
Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra.
E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.