Religio et Fides | 05 maggio 2024, 07:00

'Bevendo alla fontana', 1887 - Giovanni Segantini (1858-1899)

“Anche gli apostoli, che Gesù scelse per edificare la Chiesa, erano pieni di difetti; egli chiese loro soltanto di essere come dei bambini e di seguirlo con fedeltà”

'Bevendo alla fontana', 1887 - Giovanni Segantini (1858-1899)

La prima lettura, tratta dagli Atti degli Apostoli, si apre con queste parole: Avvenne che, mentre Pietro stava per entrare nella casa di Cornelio, questi gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. Ma Pietro lo rialzò, dicendo: “Àlzati: anche io sono un uomo!”. L’apostolo è ben cosciente della sua identità; certamente è il primo papa della storia della Chiesa ma è pur sempre una persona, con le sue luci e ombre e la sua grandezza consiste nell’aver detto sì a Cristo. Si è reso al suo servizio al fine di essere un canale per consentire a Dio di arrivare alla gente, senza alcuna distinzione, così come afferma poco più avanti nel brano: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga”.

Bevendo alla fontana (1887) è un quadro di Giovanni Segantini (1858-1899), artista che visse un’infanzia difficile e una vita travagliata ma ciò che lo salverà sarà la pittura; approderà al mondo artistico iscrivendosi all’Accademia di Brera per poi trovare un suo stile personale caratterizzato dalla tecnica divisionista che consiste nell’applicare sottili pennellate di colori a olio puri, non mescolati, molto ravvicinate e questo per consentire al dipinto di incrementare notevolmente la luminosità. I soggetti che raffigura sono paesaggi montani, agresti, che evocano la bellezza e la semplicità della vita umile cercando sempre più di cogliere una presenza divina nel rapporto luce e natura. Nell’opera in questione è raffigurata una ragazza con abiti svizzeri che si sta dissetando. Quando abbiamo sete e intravediamo una fontana non stiamo di certo a guardare com’è fatto il tubo ma beviamo e basta. Spesso invece ci fermiamo ai "tubi", alla forma quindi e non al contenenuto ovvero guardiamo noi stessi e gli altri in modo errato e distorto perdendo di vista l’essenziale. Dovremmo fare come Pietro, ricordarci che siamo uomini e donne chiamati a portare bellezza e freschezza là dove viviamo senza pretendere la perfezione.

Quando Gesù va in cerca degli apostoli non individua i migliori ma quelli che, nonostante i loro limiti, accettano di seguirlo e di lasciarsi guidare da Lui. Pietro, per esperienza personale, sa di essere solo un misero tubo dal quale però può fluire l’amore di Dio. Questo significa possedere una giusta consapevolezza di sé e una buona dose di umiltà.

Vi cito sulla scia di questa riflessione alcune frasi del cardinale Xavier van Thuan, vescovo vietnamita che per tredici anni, dal 1975 al 1998, fu incarcerato dal regime comunista e nonostante questo riuscirà ad essere per molti fonte di speranza:

“Anche gli apostoli, che Gesù scelse per edificare la Chiesa, erano pieni di difetti. Egli chiese loro soltanto di essere come dei bambini e di seguirlo con fedeltà”.

I sacerdoti non solo quelli che non peccano mai, solo che, pur nel peccato, hanno udito la chiamata di Dio. Se solo chi è perfetto fosse sacerdote, non ci sarebbero sacerdoti e questo concetto vale non solo per i preti ma per chiunque. Nessuno è perfetto o vive in condizioni impeccabili: lo abbiamo visto accennando alla vita di Segantini così come a quella di van Thuan e ciascuno di noi potrebbe aggiungere la propria storia e vicenda personale. Non vi è traccia di perfezione ma ciò che conta è credere che attraverso di se', povero tubo fatto di limiti e incrostazioni, può passare l’amore, può generarsi vita, speranza e bellezza. Dio non ci chiede di essere perfetti perciò non dobbiamo pretenderlo dagli altri e tanto meno da noi stessi complicandoci l’esistenza e rovinandoci la salute, bensì ci chiede di far scorrere amore passando per ciò che siamo e che viviamo. Tutto ciò non è nè semplice nè immediato non lo è stato neanche per san Pietro, ma il segreto sta nel permettere all’amore di Dio di scorrere dentro di noi e di smuovere il bene che ci abita e che spesso resta stagnante e inespresso.

Concludo attingendo a queste parole della seconda lettura:

“In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati”.

Permettiamo a Dio di scorrere dentro la nostra vita e Lui ci aiuterà a far sgorgare tutto che ciò che di bello c’è in noi per divenire delle fontane portatrici di freschezza e di vitalità.   

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.

Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.

Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.

Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

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