Religio et Fides | 11 febbraio 2024, 07:00

'Olympische Spiele Munchen', 1972- David Hockney (1937)

Lettura d'arte domenicale a cura di Don Paolo Quattrone

'Olympische Spiele Munchen', 1972- David Hockney (1937)

Ripercorrendo le domeniche precedenti abbiamo visto Gesù in una sinagoga che guarisce un uomo posseduto da uno spirito impuro e nella stessa giornata libera la suocera di Simone dalla febbre e in più guarisce malati e salva gente indemoniata. Ora è la volta di un lebbroso che viene purificato. Occorre ricordare che ogni tipo di malattia in quel tempo era considerata una manifestazione fisica ed evidente del peccato, ossia significava che chi ne era afflitto aveva commesso qualche colpa.

Nel brano di Vangelo secondo Marco leggiamo che il lebbroso chiede di essere purificato e Gesù tendendo la mano verso l’uomo lo tocca e lo guarisce. Cosa significa essere purificati? Uso l’esempio dell’acqua servendomi di un’immagine realizzata dall’artista britannico David Hockney (1937) che venne utilizzata come manifesto per promuovere i giochi olimpici di Monaco del 1972 dove un uomo si tuffa in acqua. Nelle sue opere è ricorrente il tema delle piscine che evocano la vita lussuosa della California dove andrà a vivere. Nelle immagini che crea c’è spesso un clima di sospensione dove l’artista sembra lasciare lo spazio allo spettatore per immaginarsi una storia o una riflessione personale.

Allora chiediamoci: in quale acque sto nuotando? Limpide e fresche oppure torbide e stantie? Imitiamo anche noi il lebbroso andando da Gesù, trovando un momento per accostarci a Lui e lasciarci toccare e illuminare affinché ci aiuti a individuare le incrostazioni, le aree sporche e non limpide della nostra vita che sono da purificare?  Chi berrebbe acqua sporca? Nessuno. Chi farebbe il bagno in acqua lurida? Nessuno. Allora perché in certi periodi sguazziamo nelle pozzanghere invece che fare una bella nuotata in acqua pulita? Oltretutto se è torbida come posso vedere bene dove sto nuotando?

A volte ci sentiamo confusi, disorientati, avvertiamo malesseri interiori, ansie, inquietudini e questo accade perché è come se viaggiassimo con il parabrezza dell’auto sporco, il rischio è di sbagliare direzione o peggio di fare qualche incidente. Dove si è imbrattata la mia vita? Quali macchie vedo? Cosa mi sta inquinando? Ognuno risponda per sé e una volta individuate le incrostazioni e le chiazze affidiamole a Dio e chiediamogli la forza di impegnarci a debellarne almeno una, così come quando si fa pulizia si procede con un certo ordine e non a casaccio. Tra le impurità può essercene una particolarmente pericolosa e insidiosa capace di espandersi a macchia d’olio se non la affrontiamo: si tratta della solitudine evocata proprio dalla lebbra in quanto malattia che condanna il malato all’isolamento. C’è una solitudine sana che consiste nel ritagliarsi del tempo per stare con sé stessi, per pensare e rilassarsi ma c’è anche una maligna nella quale ci si impantana poco per volta senza accorgersene e che come una macchia si allarga sempre più confondendoci la percezione della realtà. Vediamone alcuni esempi: si manifesta nei confronti di Dio quando ci illudiamo di poter fare a meno di Lui confidando esclusivamente sui nostri mezzi e capacità, tendendoci tutto dentro come se dovessimo dimostrargli che ce la possiamo fare da soli; c’è la solitudine nei confronti degli altri, ci si convince che è meglio fidarsi solo di noi stessi, che gli altri sono un inganno oppure che non è il caso di caricare altre persone dei nostri problemi ma piuttosto ce li risolviamo da soli e questi ragionamenti sono altamente pericolosi. Ci sono poi tutte quelle forme di solitudine che poco per volta insidiano il nostro cuore e le nostre giornate, momenti nei quali pensiamo che il mondo e la realtà siano lo schermo del nostro computer o dello smartphone. Viviamo in modo iperconnesso ma mai come ai giorni nostri tanta gente è sola, vive ritirata. Questo atteggiamento è vittima certamente dell’esperienza della pandemia. La gente ha ripreso a uscire, va in vacanza, i giovani fanno festa però appena si può ci si rintana in casa. Ma la solitudine più forte è quella dell’essere soli nell’affrontare i problemi, le scelte e le sfide dell’esistenza senza persone di riferimento, senza confronti, appoggi e punti fermi, tanto che molti studi sociologici parlano di un’epidemia di solitudine diffusa soprattutto nel mondo occidentale.

Maggie Fergusson, giornalista del settimanale inglese The Economist, l’ha definita la lebbra del ventunesimo secolo. 

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.

Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.

Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.

Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it