Finestra sull'Arte | 16 marzo 2023, 18:08

La Montagna Barocca si rivela potente nell'arte e tutti la possiamo toccare

Il pittore e scultore valdostano Massimo Sacchetti torna sul tema della 'verità nella pittura' e sulla rappresentazione dell'armonia tra paesaggio 'interno': quello della nostra anima ed esterno: quello che vedono i nostri occhi, nelle pieghe infinite di una realtà multiforme

La Montagna Barocca si rivela potente nell'arte e tutti la possiamo toccare

L‘atto spirituale con il quale l'uomo forma una cerchia di fenomeni nella categoria del paesaggio mi sembra il seguente: una visione in sé compiuta, sentita come unità autosufficiente, ma intrecciata tuttavia con qualcosa di infinitamente più esteso, fluttuante, compreso in limiti che non esistono per il sentimento - proprio di uno strato più profondo - dell‘unità divina, della tonalità naturale.

Il paesaggio come opera d'arte sorge come continuazione, intensificazione e purificazione del processo in cui il paesaggio stesso, nel senso linguistico abituale, sorge in tutti noi dalla mera impressione di singole cose della natura.

Quel che fa l’artista quando raffigura un paesaggio è delimitare nella corrente caotica - e nell’infinità del mondo immediatamente dato - una parte concepita e formarla come una unità, che così trova il proprio senso in se stessa.

Esterno e Interno

"Pensiamo", dice il filosofo Gilles Deleuze al compositore Stockhausen e al pittore Dubuffet. Musica e pittura ci mostrano come oggi il mondo sia abitato senza più differenze tra interno ed esterno. Abbiamo, oggi, piuttosto l' idea delle serie divergenti, del caso e dell'erranza, di un allontanamento dal centro. Se dovessimo parlare di monadi (entità unitarie, semplici e soggettive che costituiscono l'Universo) come faceva tre secoli fa Leibniz negando ad esse porte e finestre, dovremmo piuttosto dire che queste stesse monadi (che sono dunque i centri soggettivi, gli individui) si compenetrano e si attraversano, si mescolano in una caosmosi (respirare il caos): non parleremmo più di un'armonia prestabilita e paradossale tra dimensione orizzontale e dimensione verticale (come se mondo e anima coesistessero necessariamente senza però toccarsi), tra un interno e un esterno (nel senso architettonico di queste parole). Eppure, conclude Deleuze, rimaniamo leibniziani, aderenti al concetto di semplicità delle entità che formano il mondo.

Il Monte Bianco di Tacita Dean (gessi su ardesia)

Perché? Perché si tratta comunque di piegare, dispiegare, ripiegare. Perché la piega, questo tratto essenziale dell' epoca barocca che Deleuze enfatizza e rilancia, continua a funzionare come l'idea (o l'immagine, o addirittura il dato di realtà) con cui abitiamo il mondo e appunto spieghiamo le cose. Continua, perché già Leibniz interprete del Barocco l' aveva colta; o forse comincia, se è vero che un filone del sapere scientifico-filosofico proprio ora finalmente valorizza e verifica le intuizioni insieme filosofiche e matematiche di Leibniz (ma che veicolano una intera epoca), riaprendo un cammino di pensiero che passa per Whitehead e Bergson, ha a che fare certamente con quanto ci dicono i libri di Michel Serres (che Deleuze ha ben presenti, mentre qui da noi non sono granché apprezzati), e che poi si ritrova in varie manifestazioni artistiche, anche in Joyce e in Borges.

 

Per cominciare ad orientarci in questo mondo leibniziano, per Deleuze ancora attualissimo, potremmo appunto pensare che la realtà è fatta di pieghe, una piega che si prolunga all' infinito e non cessa di differenziarsi, ripiegamenti della materia e pieghe dell' anima. Una realtà porosa, rugosa, cavernosa, sempre in movimento, in uno sterminato brulicare di piccole pieghe: molteplicità che si ripiega e si spiega, eche sta a noi, alla nostra capacità di pensarla, tentare a nostra volta di spiegare.

ESSER-CI

Il Monte Bianco conserva una straordinaria memoria barocca. La Valle d'Aosta è costellata di guglie e pinnacoli le cui forme non alludono ma identificano la loro appartenenza al preciso concetto di 'piega'. Verticalità, scalini, fratture, concavo, convesso, sono elementi dell’appartenenza all’idea di barocco.

La vie dans les plis

Emplie de moi

Emplie de toi

Emplie des voiles sans fin des vouloirs obscurs.

Emplie de plis

Emplie de nuit

Emplie de plis indéfinis, de plis de ma vigie

Emplie de pluie

Emplis de bris, de débris, de morceaux de débris

De cris aussi, surtout des cris

Emplie d’asphyxie

Trombe lente

Apparition, Henry Michaux

La montagna nella sua apparizione non è segno, e neppure simbolo. “Un ente diventa simbolo tramite l’investimento in lui di un’apertura all’essere che si fa attraverso l’ente”. Ma ciò a cui ci apre l’apparizione dell'Aiguille Noire de Peuterey (foto sopra), nello stupore, si mostra alla luce di se stessa senza che vi sia investimento. Questa apertura è un avvenimento che non prende origine da nulla.

(Le tre cime di Lavaredo - Giovanni Salviati)

Secondo l’ontologia esistenziale di Sein und Zeit l’ente fattuale quale noi siamo è chiamato a esserci ovvero a essere il 'ci' di un mondo verso il quale esso trascende l’insieme dell’ente di cui è, fondandolo in possibilità. Altra cosa è l’apparire,  avvenimento puro della rivelazione della montagna. Essa non ha una base sopra la quale innalzarsi. Libera dalla sua estasi. La montagna per aprire il possibile ma per lasciare che il reale si apra.

Cessino allora gli uomini pii,

e accesi di zelo per la gloria divina,

di temere qualcosa dalla ragione;

si sforzino piuttosto di ottenere che la loro sia retta.

Tengano piuttosto per vero che chiunque sia

provetto nella vera filosofia, può meglio riconoscere

la divina potenza e bontà, né sarà indifferente alla

rivelazione o a quelli che sono detti misteri e

miracoli, poiché potrà dimostrare che veri e propri

miracoli accadono quotidianamente in natura.

tratto da Pacidius Philalethi

 

G.W. Leibniz, 1676

'Esser- ci', 'sorgere' sono termini che di solito si oppongono. Qui, coincidono.

Il Grand Capucine che sorge nel massiccio del Bianco non è localizzato nello spazio; esso muove lo spazio unico di tutto ciò che ha luogo. La sua apparizione non solo interrompe il corso dell’esperienza ma ne confuta lo stile.

Un'apparizione che non ha struttura dell’intenzionalità ma non riempie un’intenzione oggettivante, non fornisce un contenuto alla mira di qualche oggetto la cui convessità rivolta verso di noi ci provoca a coglierlo. E tutti lo possiamo toccare.

Massimo Sacchetti