La parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro ci sprona a continuare la riflessione sulla gestione della nostra vita iniziata domenica scorsa. Epulone indica una persona ricca ed avida completamente dedita a godere dei beni terreni senza minimamente curarsi degli altri. Il problema è che il benessere lo ha reso insensibile.
Nel Vangelo di Luca spesso vengono citati i ricchi con una connotazione negativa perché chi sta bene a livello materiale, corre il serio rischio di illudersi che ciò che possiede lo possa mettere al riparo da tutto, morte compresa. Poco per volta cuore e mente divengono sempre più indifferenti agli altri e a Dio, ben presto si finisce per credere che i beni materiali possano sostituire le persone e la fede. Noi viviamo in quella piccola parte del pianeta dove c’è benessere e questo non è né un male né una colpa però dobbiamo essere consapevoli che ciò che abbiamo come la casa, auto, vestiti comodi, belli e magari anche firmati, il conto in banca, qualche gruzzolo messo da parte, proprietà e mezzi tecnologici, non possono colmare appieno la nostra esistenza e non sono in grado di farci sentire del tutto al sicuro ed appagati.
Gesù sottolinea che l’uomo ricco indossava vestiti costosi e pregiati e amava dedicarsi a lauti banchetti. Epulone crede che curando la propria immagine e soddisfacendo i propri appetiti può sentirsi tranquillo e con una posizione ed una sicurezza non ha bisogno di altro e di altri.
Così facendo il suo sguardo, il suo cuore e la sua mente si chiudono progressivamente a tal punto che non si accorge di Lazzaro che stava alla sua porta. Lo stesso rischio riguarda anche noi, quando pensiamo che i nostri mezzi siano sufficienti per colmare i vuoti esistenziali; per cavarcela da soli e senza accorgercene ci convinciamo che gli altri non sono così necessari e tanto meno Dio. Il ricco non si rende conto che ciò che può davvero riempire la sua vita non è ciò che indossa, che mangia, che beve e che possiede bensì è fare qualcosa per Lazzaro aprendosi. Spesso cerchiamo la felicità nelle cose e invece non ci rendiamo conto che essa risiede nelle relazioni con gli altri e naturalmente con Dio perché solo queste possono davvero riempire i vuoti dell’animo. È bene allora domandarci dove stiamo cercando il senso e la felicità della vita.
Qualche giorno fa ho avuto modo di ascoltare un’intervista fatta a Italo Calvino, una delle ultime prima della sua morte. Ad un certo punto, parlando del futuro affermava: “occorre sapere che tutto quello che abbiamo ci può essere tolto da un momento all’altro, con questo non vuol dire non godere di ciò che possediamo, però dobbiamo sapere che da un momento all’altro tutto quello che abbiamo può sparire”. Di fronte a tale affermazione ci rendiamo conto che tutto ciò che sembra reggerci, donarci sicurezza e serenità come i beni dei quali ci circondiamo, l’immagine che ci creiamo, gli strumenti tecnologici dei quali ci serviamo, i progressi scientifici raggiunti sono importanti e utili ma allo stesso tempo precari e per questa ragione non in grado di appagare appieno la nostra fame e sete di felicità.
Giovanni Gasparro (1983) è un artista contemporaneo italiano che affronta spesso temi di carattere religioso cercando di tradurli in un linguaggio contemporaneo ed in particolare ama porre grande rilievo alle mani che spesso si moltiplicano e che divengono espressione del divino, il quale agisce in molti modi e forme nel reale. Nel 2010 ha dipinto l’opera: Il banchetto del ricco Epulone. Il protagonista della parabola ha di fronte a sé una tavola colma di piatti e di bicchieri vuoti segno di tutto ciò che ha consumato e dalla parte opposta spunta una mano, quella di Lazzaro. Quotidianamente corriamo un serio rischio, credere che possedere e consumare beni possa riempirci la vita, ci illudiamo che trattenere e circondarci di cose ci possa salvare. Se prestate attenzione, il ricco ha due mani sinistre che si aggrappano alla tovaglia, rappresentano il richiamo al nostro tentativo disperato di volerci aggrappare alle cose per avere la percezione di essere aggrappati alla vita e non ci rendiamo conto che solo tendendo la mano verso gli altri e verso Dio troveremo davvero ciò che sazia e disseta il nostro animo, spesso inquieto e insoddisfatto.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.