Nel panorama della fotografia contemporanea, pochi artisti hanno saputo coniugare arte e impegno sociale come Sebastião Salgado. La sua recente scomparsa, avvenuta il 23 maggio scorso, segna la fine di una carriera straordinaria, ma non della missione che ha perseguito instancabilmente per decenni: raccontare l’umanità attraverso immagini potenti e contribuire alla rinascita del pianeta con azioni concrete.
Famoso anche per il suo uso magistrale del bianco e nero, una scelta estetica che amplifica la drammaticità e l’intensità emotiva delle sue immagini, la sua fotografia documentaristica è caratterizzata da contrasti forti tra luce e ombra, che creano un effetto teatrale e immersivo. Le sue composizioni potenti, dove ogni elemento è studiato per trasmettere una storia complessa in un singolo scatto e la sua profondità emotiva, rendono le sue immagini più di semplici fotografie. Sono testimonianze visive di eventi storici e sociali. Le sue opere non si limitano a mostrare la realtà, ma la interpretano con un linguaggio visivo che richiama il sacro e il mitologico.
Nato nel 1944 ad Aimorés, in Brasile, Salgado intraprese inizialmente la carriera di economista. Dopo aver lavorato in Africa per la Banca Mondiale, si avvicinò alla fotografia, comprendendo il potere narrativo dell’immagine nel raccontare la condizione umana. Negli anni ’70, lasciò la finanza per diventare un fotografo documentarista, collaborando con agenzie prestigiose come Magnum Photos. Nei decenni successivi, le sue opere divennero veri e propri manifesti visivi delle migrazioni, delle guerre e dello sfruttamento del lavoro.
Tra i suoi progetti più celebri troviamo Workers (1993), dedicato ai lavoratori manuali in tutto il mondo, ed Exodus (2000), che documenta le migrazioni globali e le difficoltà dei rifugiati. Un evento personale cambiò radicalmente il suo percorso: tornando nella sua terra natale, si rese conto che la foresta che circondava la sua casa d’infanzia era stata completamente distrutta dalla deforestazione. Questo lo spinse, insieme alla moglie Lélia Wanick, a creare nel 1998 l’Istituto Terra, un progetto di riforestazione che trasformò paesaggi devastati in foreste rigogliose riportando in vita circa 17 mila acri di foresta tropicale nel Brasile sud-orientale, dove un tempo il terreno era arido e impoverito. Grazie alla piantumazione di oltre quattro milioni di alberi, il progetto ha permesso il ritorno di 172 specie di uccelli, 33 di mammiferi e innumerevoli forme di vita, contribuendo alla biodiversità della regione. Oltre alla riforestazione, l’Istituto si è trasformato in un centro di ricerca e formazione ambientale, educando migliaia di persone sull’importanza della conservazione e della sostenibilità. Salgado era convinto che l’arte non dovesse solo testimoniare, ma anche cambiare la realtà, e il suo lavoro in Brasile ne è stata la dimostrazione più concreta. L’impegno ambientale di Salgado non si limitò all’Istituto Terra. La sua fotografia divenne sempre più orientata verso la celebrazione e la protezione della natura.
Con Genesi (2013), Salgado viaggiò in Amazzonia, Antartide, Africa e nelle regioni più remote del mondo, immortalando in 245 scatti paesaggi incontaminati e popolazioni indigene. L’obiettivo era mostrare la bellezza di un pianeta ancora preservato, affinché l’uomo ne comprendesse il valore e la necessità di proteggerlo. Nel 2015 la mostra 'Genesis' raggiunse il Forte di Bard ottenendo un successo strepitoso e contribuendo al rilancio internazionale della struttura espositiva valdostana.
Successivamente, con Amazzonia (2021), Salgado si focalizzò sulle tribù indigene e sulla distruzione della foresta pluviale, utilizzando immagini di grande impatto per sensibilizzare il pubblico sui pericoli della deforestazione. Oltre ai suoi progetti fotografici, Salgado ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali. Nel 2014, il documentario Il Sale della terra, diretto da Wim Wenders e dal figlio Juliano Ribeiro Salgado (proiettato nel 2015 al Forte di Bard) raccontò la sua vita e il suo lavoro, vincendo premi prestigiosi e portando la sua storia al grande pubblico e negli ultimi anni, il suo contributo artistico e sociale venne celebrato in molte città. Nel 2023, Milano gli conferì il Sigillo della Città, riconoscendo il suo impegno per la cultura e la sensibilizzazione sociale.
Salgado non era solo un fotografo, ma un narratore visivo che ha trasformato immagini in testimonianze. Il suo lavoro ha mostrato la bellezza e la fragilità della natura, senza compromessi, senza artifici. Ha piantato alberi, ha documentato la distruzione, ha restituito alla Terra parte di ciò che le è stato tolto. Ora il suo testimone passa agli altri: le sue fotografie restano, ma il compito di preservare il mondo dipende da chi guarda.