Attualità | 16 maggio 2025, 10:12

'Leadership spirituale e geopolitica': l’eredità di Francesco

La morte di papa Francesco, il conclave e l’elezione di Leone XIV sono al centro della riflessione pubblica di queste settimane. Ne abbiamo parlato con Chiara Thiébat, docente di Filosofia e Storia al Liceo classico, artistico e musicale di Aosta e responsabile del Corso di Geopolitica dei licei valdostani

'Leadership spirituale e geopolitica': l’eredità di Francesco

La morte di papa Francesco e la successiva elezione del cardinale Prevost al soglio pontificio hanno monopolizzato per giorni l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Come si può spiegare questo interesse?

Credo sia del tutto normale, anche se si possono dare diverse letture dell’attenzione che questi avvenimenti hanno suscitato. Per i credenti il papa rappresenta il successore di Pietro, colui che ha il compito di confermarli nella fede. E’ dunque evidente che guardino alla morte di un papa e all’elezione del suo successore come ad un momento cruciale della loro vita di fede, senza contare che oggi la figura del pontefice ha cessato di essere lontana e rinchiusa nei palazzi vaticani e questo ha contribuito al fatto che i fedeli si sentano legati a lui anche da un sincero affetto.

Sicuramente quello che stupisce è la grande attenzione che anche il mondo non cattolico ha attribuito a questi eventi. Non credo che si tratti esclusivamente di curiosità amplificata dalle nuove tecnologie, merita una lettura più profonda. Oggi la Chiesa cattolica rimane, forse, l’unica istituzione a livello mondiale capace di fare sintesi e di parlare con un’unica voce. In un mondo segnato dall’esasperazione delle singole identità, dai nazionalismi, dalle divisioni e dai conflitti, la Chiesa, malgrado le difficoltà, appare ancora come un’istituzione capace di parlare a nome di tutti e capace di mostrare un modello di leadership alternativo al semplice mantenimento del potere.

Credo ci sia, però, un’ulteriore chiave di lettura che si può dare, che definirei di carattere filosofico. Nella sua opera “La scienza come professione” pubblicata nel 1919, Weber parlava del “disincanto del mondo” per indicare il processo che portava, con lo sviluppo scientifico, ad una spiegazione puramente razionale della realtà. Oggi scienza e tecnica sono sempre più potenti, ma appaiono incapaci di fornire risposte esistenziali alla sete di senso dell’uomo. Forse, ad un uomo sempre più smarrito in molteplici solitudini, la lentezza solenne del sacro e del trascendente torna ad affascinare.

Dal punto di vista geopolitico quali sono stati gli assi portanti del pontificato di Francesco?

Penso sia prima di tutto necessario fare una premessa: il papa non si muove in base ad interessi geopolitici, ma è evidente che l’azione del leader spirituale di 1 miliardo e 400 milioni di persone abbia anche conseguenze dal punto di vista geopolitico. Credo si possano quindi sottolineare alcuni assi portanti del pontificato di Francesco: indubbiamente una prospettiva più globale e meno eurocentrica, la posizione critica verso le derive di un capitalismo sfrenato e delle disuguaglianze che esso amplifica, l’attenzione alle periferie del mondo oltre che a quelle esistenziali. Non c’è dubbio che anche l’apertura verso la Cina sfociata nel 2018 nel sofferto accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, a cui ha contribuito in modo fondamentale in qualità di segretario di stato il cardinale Pietro Parolin, rappresenti un altro aspetto notevole. Aggiungerei, ovviamente, il costante impegno per la pace e la centralità tipica del suo background argentino del concetto di “popolo” declinato nel pontificato di Francesco sia da un punto di vista ecclesiale che politico.

In molti hanno definito Francesco “un papa rivoluzionario” per la sua attenzione ai poveri e agli emarginati

Sì in molti hanno dato del “rivoluzionario” a papa Francesco, sia per lodarlo che per denigrarlo. Credo sia una definizione sbagliata. Mettere al centro i poveri non è un’invenzione di Francesco, è il Vangelo che li mette al centro e Francesco non ha fatto altro che seguirlo e invitare a seguirlo. Non è necessario essere un fine biblista per reperire nelle Scritture i continui riferimenti ai poveri e nei Vangeli sono molteplici gli episodi in cui Gesù intesse relazioni con gli esclusi dell’epoca, come le donne, gli stranieri e i lebbrosi.  Francesco ha dato sicuramente nuovo slancio alle istanze del Concilio Vaticano II, molte delle quali devono ancora portare frutto. La maggior parte delle voci contrarie all’operato di Francesco, anche all’interno della Chiesa, si sono alzate da chi guarda con sospetto all’apertura al mondo promossa dal Concilio. Eppure, mi sembra di poter dire che la Chiesa non ha come compito il mantenimento di un sonnolento status quo, non è chiamata a dare le risposte di ieri alle domande di oggi, ma è chiamata ad ascoltare e interpretare le richieste degli uomini di oggi alla luce del Vangelo.

Veniamo all’elezione imprevista del cardinale Prevost al soglio pontificio

Forse imprevista, ma sicuramente non improbabile. In molti ci siamo stupiti della sua elezione probabilmente perché abbiamo enfatizzato una considerazione di stampo geopolitico: dagli Stati Uniti non poteva arrivare un papa perché questo avrebbe voluto dire concentrare troppo potere nelle mani della nazione più potente al mondo. I credenti parlano dell’azione dello Spirito Santo che illumina il discernimento dei cardinali, ma anche coloro che non credono devono comunque ammettere che i cardinali non si sono mossi sulla base di ragionamenti geopolitici.

Credo, inoltre, che si siano enfatizzate le divisioni all’interno del collegio cardinalizio, il quale, invece, ha dimostrato, data la rapidità dell’elezione, di avere le idee piuttosto chiare. Da un lato si cercava una persona con capacità e esperienza di governo e dall’altro si sottolineava la necessità che incarnasse anche una profonda vocazione pastorale. Due qualità queste che si inscrivono perfettamente nella biografia di colui che è stato eletto. Il card. Prevost è stato missionario e vescovo in Perù (di cui ha acquisito anche la cittadinanza) per più di vent’ anni, ma ha avuto anche incarichi di governo come responsabile degli Agostiniani e soprattutto è stato chiamato da Francesco a Roma come responsabile del delicato dicastero dei Vescovi e fatto cardinale nel 2023. Personalmente non escludo che, come ha di recente dichiarato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Francesco abbia potuto pensare proprio al card. Prevost come al suo possibile successore.

Che tipo di papato sarà quello di Leone XIV?

Il pontificato di papa Leone è appena iniziato e mi piace pensare che il meglio dobbiamo ancora scoprirlo. Intanto possiamo basarci su quello che ha detto: l’appello fortissimo alla pace ripetendo le parole di papa Francesco e il celebre grido di Paolo VI “Mai più la guerra”, una pace proveniente da Cristo e offerta a tutti, una pace che non è attesa passiva ma impegno costruttivo poiché non solo “disarmata” ma anche “disarmante”, una Chiesa che accoglie tutti “come Piazza San Pietro” e che  va  governata in modo sinodale, una Chiesa alla ricerca dell’unità che non va mai confusa con l’uniformità.

Credo poi che molti indizi vengano dalla scelta del suo nome motivato con il richiamo all’opera di Leone XIII, il papa della “Rerum novarum”, enciclica della dottrina sociale che segna l’apertura della Chiesa alla modernità e al dialogo con il mondo. E’ lo stesso pontefice ad aver richiamato l’importanza di saper accogliere con lungimiranza le sfide dello sviluppo scientifico come quella rappresentata dall’intelligenza artificiale.

Se mi è possibile azzardare un paragone l’arrivo di Leone XIV dopo papa Francesco, mi ricorda l’arrivo di Paolo VI dopo Giovanni XXIII. Se Giovanni XXIII aveva avuto il merito di aprire l’enorme innovazione del Concilio Vaticano II, è Paolo VI che ha permesso che diventasse realmente fecondo concludendolo e regalando alla Chiesa un’eredità che deve continuare a portare frutto. Allo stesso modo Francesco ha innovato e Leone dovrà far sì che queste innovazioni fioriscano. Che Leone XIV voglia inserirsi in questa scia non è una supposizione, l’ha detto chiaramente nell’incontro che ha avuto subito dopo il Conclave con i confratelli cardinali: “Vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la nostra piena adesione alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II. Papa Francesco ne ha richiamato e attualizzato magistralmente i contenuti nell’Esortazione apostolica Evangilii gaudium”. Sono parole inequivocabili.

 

pa.ga.