E' da pochi giorni nelle mani della direttrice della Casa circondariale valdostana, Velia Nobile Mattei, la lettera di dimissioni di A.M., giovane agente di polizia penitenziaria in forza permanente al carcere di Brissogne. Parla di condizioni di vita 'impossibili' pur se fra le mura di un istituto di pena che non soffre di sovraffolamento (ha una capienza di 180 detenuti a fronte oggi di 130 posti occupati); è una lettera disperata e disperante ancor più perché scritta da un'agente e non da un detenuto; parole messe nero su bianco che disegnano una realtà inimmaginabile per chi vive 'fuori', per tutti quelli ovvero il 99% circa della popolazione 'a piede libero' che considera il penitenziario come qualcosa di alieno dalla propria vita, una sorta di 'nave maledetta' solo casualmente arenatasi vicino alle nostre case.
E colpisce il fatto che il poliziotto non chiede un mero trasferimento ad altro istituto di pena ma annuncia di lasciare il Corpo perché non ripone più speranza di cambiamento negli attuali vertici di comando. Al carcere di Brissogne, ad esempio, manca un comandante da circa otto anni, nonostante siano presenti in Italia oltre 500 dirigenti di Polizia penitenziaria a fronte di circa 190 Istituti di pena della Repubblica.
"Presento le dimissioni dal Corpo di Polizia Penitenziaria" si legge nella lettera che poi elenca le ragioni della decisione:
"- Carico di lavoro eccessivo e stress: ritmi insostenibili, scadenze irrealistiche del termine del servizio giornaliero e per poter usufruire del riposo settimanale. Oltre a ciò, mancanza di supporto da parte delle figure di coordinamento che la maggior parte delle volte hanno solo puntato il dito con scarico di responsabilità, con annessa sensazione di non essere ascoltato e valorizzato dai propri responsabili;
- Mancanza di chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità, con l'ambiguità e la sovrapposizione di compiti e posti di servizio;
- Mancanza di informazioni chiare e tempestive anche a livello amministrativo, su tutto che riguarda la soggettività dei diritti del lavoratore;
- Mancanza di opportunità di crescita e sviluppo professionale: situazione stagnante e priva di prospettive;
- Turni di lavoro gravosi che non permettono di conciliare la vita privata e quella lavorativa anche con incessanti telefonate giornaliere da parte dell'Ufficio servizi per continue variazioni di turni di lavoro o revoche consecutive di riposi settimanali ove non viene consentito il diniego per esigenze personali in quanto 'ultimo arrivato';
Ambiente di lavoro tossico: competizione malsana, leadership offensiva, mancanza di rispetto, comportamenti umilianti da parte dei superiori gerarchici".
"Mi pento di non aver relazionato quanto ho subìto in questi mesi, ma avevo timore per sviluppi negativi sulla mia eventuale carriera", scrive A.M. e non servono i commenti.
"A ulteriore informazione, ho comunque sempre informato dei fatti l'organizzazione sindacale alla quale ho deciso di associarmi (l'Osapp ndr) che comunque è intervenuta più volte a tutela dei lavoratori su quanto sopra esposto. Ma alla fine, data la giovane età, ho deciso di rassegnare le dimissioni dal Corpo per reinserirmi in altri contesti lavorativi". L'agente Polpen richiede "la decorrenza delle dimissioni nel più breve tempo possibile".
Trapela un crescente malessere all'interno della Polpen: "Dov'è il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro? Perché non viene a trovarci in 'trincea' dove i provvedimenti disciplinari ultimamente fioccano? Perché non dispone una verifica ispettiva?".