Cultura - 04 dicembre 2025, 07:22

'Tre gatti, un ragazzo' e una provincia che cambia

Il docente e scrittore valdostano Pierluigi Vuillermin racconta l'ultima (in ordine di tempo) tappa del suo viaggio narrativo

Pierluigi Vuillermin (a sn) insieme a Stefano Tringali, titolare della libreria Aubert di Aosta, durante la presentazione del libro a Plus

Pierluigi Vuillermin (a sn) insieme a Stefano Tringali, titolare della libreria Aubert di Aosta, durante la presentazione del libro a Plus

Dopo aver esplorato, nei suoi precedenti lavori, la provincia come luogo della formazione, della critica civile e della disillusione, l'insegnante di filosofia e scrittore valdostano Pierluigi Vuillermin è tornato in libreria con 'Tre gatti. Un ragazzo' (CN edizioni, 2025), romanzo che segna un ulteriore passo nella sua indagine letteraria sull’identità, sulla crescita e sulle fragilità dell’età giovanile.

Dalla ferocia polemica dell’esordio con 'Palanka' alla cifra più intima e filosofica delle opere successive, Vuillermin sembra aver composto, quasi senza volerlo, una vera e propria 'trilogia dell’orfanitudine'. Un percorso che unisce autobiografia, critica sociale e invenzione letteraria in una forma breve che negli anni si è fatta sempre più limpida e personale.

Lo abbiamo intervistato per farci raccontare com'è nato il suo nuovo libro e quale evoluzione segna nella sua attività di scrittore.

Laprimalinea: 'Tre gatti. Un ragazzo', pubblicato da pochi mesi, è la sua terza prova narrativa. Innanzitutto, può dirci di che narra e come si colloca rispetto ai suoi precedenti lavori?

Pierluigi Vuillermin: Come il mio secondo libro, 'Come una pietra che cade. Esercizi di sopravvivenza in provincia' (Mimesis, 2020 ndr), anche quest’ultimo è una raccolta di racconti. Ho privilegiato la cosiddetta “forma breve”, dal momento che mi è maggiormente congeniale come stile di scrittura. La mia formazione filosofica mi fa propendere per un modo di raccontare più saggistico che narrativo: una specie di ibrido tra invenzione letteraria e riflessione filosofica. In Tre gatti. Un ragazzo ho voluto essenzialmente riferire la storia di un adolescente che deve crescere e diventare adulto. In questo viaggio il ragazzo (Piero) è accompagnato da tre gatti (Bento, Sirio e Chat-Badà) che sono una sorta di “alter ego”, proiezioni dei suoi pensieri e delle sue paure. In sintesi, i tre gatti rappresentano aspetti e possibilità della personalità in formazione di Piero. Una ragione della scelta dei gatti come protagonisti dei racconti è che, sin da bambino, ne ho sempre avuti per casa, e continuo ad averli e ad amarli. Per me sono delle “piccole persone”, per utilizzare una bella espressione della Ortese, che rendono la vita migliore. Inoltre mi appassiona e mi diverte osservarli e studiarli, come se fossi un etologo alla Giorgio Celli. In questi racconti c’è anche molto altro. Non voglio, però, rovinare la sorpresa per gli eventuali lettori interessati al libro.

LPL: Rispetto al suo libro d’esordio, 'Palanka. Brevi raccomandazioni per chi si reca in Valle d’Aosta' (Manni, 2012), in questi ultimi due si nota non solo un mutamento di stile ma anche una presa di distanza, se così si può dire, dall’invettiva e dalla furia polemica che caratterizzava Palanka.

PV: Concordo e posso provare a spiegarmi. Palanka era nato come un pamphlet contro una certa retorica dell’identità, delle radici e del particolarismo valdostano, che non ho mai sopportato dai tempi del liceo. Forse è una mia questione personale, non saprei. Poi, uscendo dalla “petite patrie” per motivi di studio, mi resi conto dell’estremo provincialismo di quella retorica che, in realtà, serviva sostanzialmente a legittimare un sistema di potere. Questo tipo di critica, siamo circa negli anni Novanta, era un sentire comune per quelli della mia generazione che iniziavano a muovere i primi passi e inserirsi nell’ambiente culturale. Palanka era quindi la manifestazione di un profondo disgusto: il rifiuto del “catechismo regionalistico”. Vedo che oggi in Valle d’Aosta il tema dell’identità e altre amenità storiche stanno tornando di moda nella pubblicistica locale. Ma ritengo che sia solo un affare eno-gastronomico di promozione turistica della nostra regione. Insomma, un marchio per veicolare un’idea di montagna come luogo di autenticità, di natura incontaminata, di esperienza emotiva che si ritrova in tanta letteratura contemporanea di ambientazione alpina. Il sistema di potere, quello, invece, è rimasto sempre lo stesso.

LPL - Nell’epilogo al termine di 'Tre gatti. Un ragazzo' Lei parla, a proposito dei suoi tre libri, di una sorta di “trilogia dell’orfanitudine”. Che cosa intende con questa espressione?

PV - Penso che in tutti i tre libri il tema di fondo, in parte autobiografico, sia quello della privazione e della mancanza che sta all’origine della condizione di chi è orfano. Le ho chiamate “genealogie imperfette”. Un altro tema, legato al luogo dove vivo e lavoro, è poi la fenomenologia della vita in provincia con le sue ipocrisie piccolo-borghesi, i tipi stralunati che vi abitano, i riti stantii e le abitudini che diventano prigioni e solitudini. Sono le mie personalissime “cronache della città di A.”, in cui descrivo, oggi con più leggerezza e disincanto, il paesaggio umano che mi circonda.

pa.ga.

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