È novembre 2025, e 'La Caverna di Platone' continua a vibrare come un cuore antico sotto la pelle del presente. Pubblicato lo scorso gennaio, il nuovo album di Enrico Ruggeri non ha smesso di parlare, di interrogare, di accendere pensieri. Non è un disco che si consuma ma è una fiamma che arde lenta, come quelle che si accendono nei luoghi sacri, dove il silenzio è parte del rito.
Ruggeri ha scelto di raccontare il nostro tempo con la voce di chi ha attraversato molte stagioni, ma non ha mai smesso di cercare. Il titolo, ispirato al mito platonico, è già una dichiarazione poetica: siamo tutti prigionieri di ombre, di riflessi, di verità parziali. E la musica, in questo album, diventa il filo che ci guida fuori dalla caverna, verso la luce. Non una luce abbagliante, ma quella tenue e calda che rivela i contorni delle cose, che ci invita a guardare meglio, a capire di più.
Ogni brano è una stanza di questo percorso. C’è chi parla di guerra, chi di identità, chi di memoria. Ma non c’è mai retorica, c’è sempre una carezza, anche quando le parole graffiano. Ruggeri non urla, non impone. Sussurra, suggerisce, accompagna. La sua voce è quella di un cantastorie che ha vissuto, che ha visto, che ha scelto di raccontare con onestà e bellezza.
“La Caverna di Platone” è uscito in digitale, CD e vinile, come a voler dire che ogni forma ha il suo tempo, ogni ascolto il suo ritmo. E oggi, a distanza di mesi, il disco non ha perso forza. Anzi, sembra più attuale, più necessario. In un mondo che corre, che semplifica, che dimentica, Ruggeri ci invita a fermarci, a pensare, a sentire. La sua musica è una lanterna, non illumina tutto, ma ci dà abbastanza luce per fare il prossimo passo.
E forse è proprio questo il dono più grande di questo album... non ci dà risposte, ci dà domande. Non ci offre certezze, ci offre visioni. È un’opera che non si ascolta soltanto con le orecchie, ma con la pelle, con il cuore, con quella parte di noi che ancora crede che l’arte possa cambiare qualcosa. Anche solo un pensiero. Anche solo un istante.
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