Religio et Fides - 02 novembre 2025, 06:03

'Tory Island, Contea di Donegal, Irlanda' (1995); di Martine Franck (1938-2012)

Lettura d'arte domenicale a cura di Don Paolo Quattrone

'Tory Island, Contea di Donegal, Irlanda' (1995); di Martine Franck (1938-2012)

La solennità di tutti i santi e la commemorazione dei defunti sono strettamente collegate e ci ricordano che l’esistenza non è limitata alla dimensione terrena perché esiste l’eternità. La vita non termina con la morte anche se quest’ultima ci fa paura, sembra tranciare tutto e inghiottirci. Se preghiamo per i defunti, se ci rechiamo sule loro tombe portando fiori simbolo di vita è perché, seppur a volte con fatica, crediamo che non è finita, che quella persona non è persa bensì è passata nell’eternità. Non a caso Pasqua significa passaggio, perciò, morire non è sparire nel nulla ma compiere un passaggio per risorgere nell’aldilà, la morte. È come un tramonto a cui dopo seguirà l’alba della resurrezione. Domenica scorsa ho sottolineato che per il Signore siamo tutti preziosi e questo vale anche nel momento in cui moriremo, possiamo dedurlo dal brano di Vangelo dove Gesù rivolgendosi alla folla afferma: “E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell'ultimo giorno”. La morte non è perderci per sempre ingoiati dal nulla ma è passare dalla vita terrena a quella eterna dove ci incontreremo faccia a faccia con la Trinità, così come ci suggerisce la prima lettura tratta dal libro di Giobbe: “Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro”. Poiché veniamo dalla Trinità in ciascuno di noi c’è una traccia di eternità e quindi non siamo fatti solo per trascorrere una manciata di anni sulla terra e poi eclissarci, ma siamo pensati per vivere per sempre nell’aldilà. La solennità dei santi ci richiama al fatto che siamo destinati certamente all’eternità ma potrebbe essere un’eternità di gioia o di tristezza. Può sembrare un discorso del periodo medioevale ma sarebbe un grave errore credere che inferno e paradiso siano categorie superate e da archiviare. Ognuno possiede la libertà e questa, a seconda di come la utilizziamo, può generare il bene o il male, bellezza o bruttura. Non sarà Dio che deciderà dove mandarci una volta varcata la soglia della morte ma ciò che saremo nell’aldilà sarà semplicemente continuazione ed estensione di ciò che siamo stati nell’aldiquà. I santi sono quella miriade di uomini e di donne, alcuni celebri, ma la stragrande maggioranza sconosciuta, che non si sono persi. Quando ci si perde? Quando si va dietro soltanto a sé stessi e questo ci conduce a perdere di vista la felicità e la gioia. Dio desidera con tutto il cuore che nessuno si perda ma noi siamo liberi di farlo tutte le volte che pretendiamo di fare di testa nostra, di condurre un’esistenza completamente incentrata su noi stessi, questo non è altro che un anticipo dell’inferno. I santi sono coloro che non si sono persi dentro loro stessi, che non si sono lasciati imprigionare e sequestrare dal loro egoismo ma hanno cercato, a volte riuscendoci e a volte no, di aprirsi alla vita, alla realtà nella quale vivevano, alle persone e anche a Dio. Ci perdiamo quando siamo troppo ripiegati su di noi, su ciò che gli altri dovrebbero fare per noi, sui nostri problemi, priorità, comodità, quando pretendiamo di salvarci da soli e di avere tutto sotto controllo, persi nelle nostre paure, ferite e miserie personali camminando soli senza gli altri e senza Dio. La vita invece assume altre sfumature quando sappiamo guardare oltre il muro del nostro io scegliendo di aprirci e allora è più difficile perdersi e ci avviamo sui sentieri della felicità e della santità. Questo non vuol dire che non incontreremo mai difficoltà, contrarietà, dolori, che tutto sarà perfetto ma ciò che conta è non perderci dietro il nostro io ma saperci tenere per mano con gli altri e con Dio. Martine Franck (1938-2012) moglie del famoso fotografo Henri Cartier-Bresson (1908-2004) ha condiviso con lui non solo l’amore ma anche la passione per la fotografia, ha scelto forse anche con fatica di non voler emergere come il marito ma non per questo era meno dotata. I suoi scatti rivelano una ricerca incessante per la vita. Tory Island, Contea di Donegal, Irlanda, 1995 mostra due bambine che varcano un muro saltando e tenendosi per mano. C’è solo un modo per non restare intrappolati tra le mura del nostro io ed è quello di uscire prendendo per mano la realtà nella quale viviamo, le persone che incrociamo, lasciandoci amare e amando e tendendo la mano anche verso Dio perché da soli ci si perde restando intrappolati in un’infernale solitudine.  

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.

Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.

Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.

Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

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