Cronaca - 29 ottobre 2025, 06:53

Stalking sui vicini, famiglia condannata a otto mesi di carcere con obbligo di 'corsi di recupero'

Fabrizio Pedà, sua sorella Sabrina e la loro madre, Anna Marcoz dovranno frequentare lezioni formative di 'buon comportamento'; il giudice ha anche deciso nei loro confronti una previsionale di 5000 euro alle parti civili e il pagamento di tutte le spese legali. Processo separato per un'altra vicenda di danneggiamento

Stalking sui vicini, famiglia condannata a otto mesi di carcere con obbligo di 'corsi di recupero'

E' una condanna di quelle che una volta si definivano 'esemplare'. Al termine dell'udienza di martedì scorso il giudice del tribunale di Aosta Marco Tornatore ha condannato in primo grado per il reato di atti persecutori (stalking) in concorso Fabrizio Pedà, 51 anni, impiegato in una società partecipata; sua sorella Sabrina (50) e la loro madre, Anna Marcoz (76, gli imputati nella foto sotto), tutti residenti a Brissogne in località Neyran. La pena è di otto mesi di carcere, una previsionale di 5000 euro nell'ambito del risarcimento alle parti lese (che hanno annunciato di voler devolvere l'intero risarcimento in beneficienza alla Caritas) e il pagamento di tutte le spese legali. Il giudice, però, ha anche applicato un'ulteriore, singolare misura: stante la lunga serie di condotte vessatorie e persecutorie emerse durante il processo, la famiglia Pedà-Marcoz dovrà anche frequentare un 'corso di recupero' anti-stalking, una sorta di 'scuola di buon comportamento'.

I corsi di recupero per persone condannate per stalking sono previsti dalla legge italiana come sospensione condizionale della pena (che resta quella decisa in sentenza, non viene ridotta) per alcuni reati, inclusi quelli di stalking. Il giudice valuta l'opportunità di questa misura, che deve essere seguita con cadenza almeno bisettimanale e deve ottenere esito favorevole per consentire la condizionale. Questi programmi sono erogati da enti e associazioni che si occupano di prevenzione e assistenza psicologica e sono volti a far comprendere la gravità delle condotte e a fornire strumenti per evitare la recidiva.

Secondo le indagini, accorpate e condotte in tempi diversi da polizia, carabinieri e dall'aliquota di polizia giudiziaria del Corpo Forestale valdostano, gli indagati "con condotte minacciose e moleste" da anni perseguitano - per motivi che le vittime ritengono "assolutamente incomprensibili e ingiustificabili" - i vicini di casa, madre e figlio proprietari di un'abitazione confinante con la loro costringendoli, sostengono gli inquirenti, a vivere in costante ansia e paura e persino a modificare le normali attività di vita quotidiana, limitando così la loro libertà personale.

Dagli accertamenti è emerso che ogni qualvolta incontravano i loro vicini, Pedà e Marcoz li offendevano proferendo pesanti insulti e minacce; quando potevano, danneggiavano la loro auto forando gli pneumatici; giungevano persino a impedire a madre e figlio, si legge nel 415 bis, "di poter accedere all'abitazione dal portone principale sbarrando l'accesso e costringendo loro a utilizzare altri accessi"; installavano telecamere "che riprendevano le pertinenze dell'abitazione delle persone offese"; denunciando i vicini "pretestuosamente per abuso edilizio".

Risale al 17 febbraio 2024, secondo gli atti di indagine, l'episodio più eclatante: la demolizione di una scala (peraltro considerata bene storico comunale) "di accesso al primo piano che serve l'abitazione delle persone offese" prese di mira praticamente quotidianamente dagli indagati. Una situazione che, scrive il pm D'Ambrosi, ha causato a madre e figlio "un grave e perdurante stato di ansia, un timore per la loro incolumità personale e costringendoli ad alterare le proprie abitudini di vita, in particolare a limitare la possibilità di fruire della propria abitazione e conseguentemente ingerendosi nella vita privata tanto da modificarla". Per la vicenda della scala demolita la famiglia sta affrontando un altro processo; ieri il giudice ha fissato la data del prossimo 3 febbraio per l'emissione della sentenza.

"Quello della scala - ribadiscono madre e figlio parti lese - è stato l'ultimo di una lunga serie di soprusi, danneggiamenti e atti di violenza privata, alcuni dei quali secondo noi in aperta violazione urbanistica eppur commessi sotto gli occhi di un'Amministrazione comunale che fino a pochi mesi fa sembrava non avere occhi per vedere - affermano -. Soprusi ai quali non possiamo più sottostare, sono anni che sopportiamo torti di ogni tipo e stalking continuo; questa condanna giunge a portare un pò di giustizia, ora vedremo il seguito". Per la vicenda della scala è anche pendente al Tar della Valle d'Aosta una vertenza che vede i Pedà-Marcoz chiamati in causa oltreché dai vicini anche dal Comune di Brissogne, che ha imposto il rifacimento del manufatto. 

Tutto era iniziato alcuni anni fa, quando la giovane donna e il figlio, all'epoca poco più che ventenne, acquistarono quella casetta a Neyran. I problemi con i loro dirimpettai, la famiglia Pedà-Marcoz, iniziarono pochi mesi dopo, quando quest'ultimi decisero di installare un reticolato da cantiere per delimitare la loro proprietà dove presto sarebbero iniziati lavori edili; uno sbarramento che finì per restringere e ridurre drasticamente lo spazio di accesso alla porta d'ingresso dei loro nuovi confinanti: il passaggio tra il reticolato e il muro della casa di madre e figlio è poco più largo di 60 centimetri: non ci passano una carrozzella per disabili, una persona adulta con due borse della spesa né una persona di corporatura particolarmente robusta.

Incredula, la donna andò a chiedere conto alla sua vicina di quell'iniziativa ma in risposta ebbe, sostiene, "l'inizio di una serie di vessazioni, minacce e intimidazioni, oltre a palesi violazioni della nostra vita privata. Sembra incredibile, perché non siamo nel Far-West ottocentesco ma nell'Italia democratica e costituzionale negli anni Duemila, eppure è andata così".

Dopo quell'episodio, stando alle indagini tra i figli delle due donne si verificarono violenti scontri verbali: "dovete smontare quella rete e consentirci di passare liberamente, se non volete essere denunciati..."; "Fate quello che volete, denunciate pure, noi il reticolato non lo togliamo, siamo autorizzati dal Comune...". Di lì in avanti è stato un crescendo di insulti reciproci "e minacce da noi passivamente subìte senza praticamente reagire, nella speranza che la Legge ci desse quanto prima ragione" sostengono madre e figlio, oltreché di iniziative finite nelle carte degli inquirenti (e ora sul 415 bis) perché valutate reati come l'installazione, da parte dell'anziana e dei suoi figli, di videocamere di sorveglianza puntate direttamente nella proprietà privata dei confinanti, mentre intanto quel reticolato è stato tolto per piazzare una vera e propria solida staccionata in legno che rende ancora più difficoltoso il passaggio.

"Chiunque riesca a passare a fianco della staccionata viene anche ripreso dalle videocamere dei vicini, così come chi staziona nello spazio antistante il cancello e la porta di casa: una situazione che ha superato i limiti del tollerabile" ribadiscono le presunte vittime delle persecuzioni.

Poi, sabato 17 febbraio 2024, la distruzione con uno scavatore di quel suggestivo manufatto in pietra, in pieno centro storico, risalente a oltre cent'anni fa. "Siamo stati autorizzati dal Comune di Brissogne, lunedì 19 scade la Scia e per evitare di rifarla abbiamo deciso di eliminare oggi quella scala; presto chiederemo l'autorizzazione per costruirne una nuova", si era giustificata Anna Marcoz con i carabinieri chiamati dai vicini perché fermassero i lavori. I militari del Radiomobile quel giorno avevano acquisito documenti e atti amministrativi, stessa cosa avevano fatto gli investigatori della Forestale e tutto era finito, insieme al resto, nelle aule di due tribunali.

pa.ga.

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