Riprende domani a Genova il processo per la tragedia del ponte Morandi che, anni prima del crollo, fu chiuso al traffico per alcune ore a causa di un guasto ai sensori del sistema di monitoraggio. Era il 2015 e a firmare la decisione di interdire il transito dei veicoli fu l’ingegnere genovese Riccardo Rigacci, allora direttore del Tronco della Liguria di Autostrade per l’Italia.
Oggi Rigacci è direttore del GEIE, il gruppo europeo di interesse economico che gestisce il traforo del Monte Bianco, ruolo che ricopre dopo una lunga carriera ai vertici di Spea e della stessa Autostrade. È anche uno dei 57 imputati nel processo per il crollo del viadotto Polcevera del 14 agosto 2018, costato la vita a 43 persone.
Una chiusura che oggi pesa nel processo
La breve chiusura del ponte, mai emersa finora con tale chiarezza, è stata rivelata nei giorni scorsi dagli stessi pubblici ministeri durante un'udienza del processo. Secondo l’accusa, il ponte non fu mai interdetto in modo strutturale nonostante il grave degrado della pila 9, per non rinunciare ai pedaggi e non incrinare la “filosofia al risparmio” imposta dall’allora amministratore delegato Giovanni Castellucci.
Eppure, quella chiusura decisa da Rigacci per un semplice guasto ai sensori — decisione presa in autonomia e con senso di responsabilità — rischia di diventare un passaggio chiave del dibattito processuale.
Per la difesa di Rigacci, rappresentata dagli avvocati Perroni e Colella, il provvedimento del 2015 dimostra esattamente il contrario di quanto sostiene l’accusa: se il direttore del tronco avesse avuto anche solo il sospetto concreto di un rischio di crollo, avrebbe certamente bloccato il traffico.
Ma secondo l’impostazione dei pm, che ieri per l'attuale direttore del tunnel hanno chiesto sei anni e mezzo di carcere (hanno chiesto condanne per 56 imputati su 57), il fatto che il ponte fu riaperto poche ore dopo rafforzerebbe la tesi opposta: che la chiusura, disposta per motivi tecnici e non strutturali, fu poi rapidamente superata anche per le pressioni economiche legate ai pedaggi.
Un rebus ancora aperto
Cosa accadde nelle ore successive allo stop deciso da Rigacci? Chi spinse per la riapertura del ponte? È uno dei tanti rebus che i giudici Lepri, Polidori e Baldini dovranno sciogliere nel corso del processo.
Gli inquirenti, già nel 2023, avevano calcolato che Autostrade incassava circa 10 milioni di euro l’anno solo dai transiti sul tratto del Morandi: 50 centesimi di pedaggio per ognuno dei 60mila veicoli che ogni giorno attraversavano il viadotto tra i caselli di Aeroporto e Genova Ovest.
Sotto accusa i tecnici di Spea
In queste settimane, l’attenzione dell’aula è puntata sugli imputati di Spea Engineering, la società che aveva l’incarico di sorvegliare il ponte e che, secondo la Procura, avrebbe minimizzato i livelli di degrado per evitare costosi interventi di manutenzione.
Tra gli imputati, anche l’ex amministratore delegato Antonino Galatà e il tecnico Vezil, intercettato prima del crollo in conversazioni che, secondo i magistrati, testimonierebbero la volontà di “tenere bassi i voti” sullo stato delle infrastrutture.