Dire grazie ci fa bene e ci salva mentre il perenne lamentarci è come lebbra contagiosa che rovina la nostra vita e di chi ci è vicino, è questo l’insegnamento che giunge dal brano di Vangelo. Trascorrere il tempo a soffermarci soltanto su ciò che non va ci porta a chiuderci e a vivere male. Ogni tanto vi capita di incontrare persone che hanno la tendenza a lamentarsi di tutto e di tutti, diventano pesanti da ascoltare e da sopportare; io rientro tra queste? Ringraziare invece è come indossare gli occhiali per osservare la realtà con un altro sguardo…non significa diventare ottimisti incalliti bensì persone che, consce della realtà nella quale vivono, notano sì le ombre, le problematiche e le negatività ma allo stesso tempo scorgono le luci, le opportunità e gli aspetti positivi. I primissimi occhiali della storia apparvero all’incirca nel 1286, probabilmente a Pisa.Ricaviamo la data dal sermone di un frate domenicano, Guglielmo da Pisa, che nel 1306, scrisse: “non è ancora vent’anni che si trovò l’arte di fare gli occhiali, che fanno veder bene, che è una delle migliori arti, e delle più necessarie, che il mondo abbia”. Il sermone costituisce peraltro la prima attestazione della parola “occhiali” in lingua italiana. Il debutto di questo particolare oggetto sulla scena della storia dell’arte italiana risale al 1352, quando l’artista Tommaso Barisini, conosciuto come Tommaso da Modena (1326-1379), venne incaricato di dipingere la sala capitolare del convento di San Nicolò a Treviso con i frati domenicani, nelle proprie celle, intenti a leggere o a scrivere. Tra questi spicca il ritratto del cardinale Hugues de Saint-Cher che indossa le lenti. Chi ha bisogno di occhiali o di lenti deve indossarli sin dal mattino e levarli prima di andare a dormire e così andrebbe fatto anche per il ringraziare: appena apriamo gli occhi dovremmo fare il segno di croce e invece di andare subito a pensare alle incombenze della giornata dire a noi stessi e a Dio un motivo per dire grazie, fosse anche solo per il fatto che siamo vivi e che abbiamo l’opportunità di cominciare un nuovo giorno. La sera, prima di sprofondare nel sonno, dovremmo ripercorrere brevemente la giornata ed individuare qualcosa di positivo e di bello che è accaduto e se proprio non troviamo nulla almeno ringraziare guardando alla nostra vita in generale. Ringraziare è la preghiera più bella e benefica che possiamo fare e che certamente Dio apprezza, trasmettiamola ai nostri figli, facciamola con loro insieme a fine giornata. Pensate quanto sarebbe bello farlo tra coniugi prima di andarsi a coricare tanto più se c’è stata qualche frizione o litigio. Il brano dell’evangelista Luca si conclude con queste parole che Gesù rivolge al lebbroso che torna indietro per rendere grazie per la guarigione: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!”. Aver fede è credere che ogni santo giorno, qualsiasi cosa accada, c’è sempre un motivo per dire grazie; non è sempre facile ed immediato perché occorre avere uno sguardo attento, non superficiale e frettoloso. Credere che c’è sempre una luce nella nostra esistenza anche nei momenti più bui ci salva dal vittimismo, dalla lamentazione, dal borbottamento, dalla depressione, dal pessimismo cosmico che rischia di farci vedere tutto e tutti a tinte cupe. Qualcuno potrebbe obiettare: facile però per il lebbroso ringraziare perché è stato guarito, la malattia è sparita mentre quante persone devono convivere con gravi problemi di salute per tutta l’esistenza! Non possiamo aspettare di ringraziare solo se il problema si risolve perché sovente certe situazioni non hanno soluzione come nel caso di un grave male o di un lutto. Occorre indossare gli occhiali del ringraziamento con la ferma fiducia che da qualche parte, in noi o attorno a noi, c’è una luce seppur fievole. Non esiste situazione o periodo della vita dove non possa dire grazie, per esempio per le possibilità che ho, per i miei talenti, per le mie risorse caratteriali, per chi amo e mi ama, perché credo in Dio, per chi mi sta accanto, per una parola che mi è stata detta o che ho letto da qualche parte e che ha rischiarato le mie tenebre, per quel sorriso ricevuto, … e l’elenco potrebbe continuare. Il lebbroso che torna indietro per ringraziare molto probabilmente si è soffermato su quanto gli è accaduto. Impariamo anche noi a fermarci ogni giorno per indossare gli occhiali del ringraziamento perché dire grazie fa bene e salva.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.