‘In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù’. Sono le parole con le quali si apre il brano del Vangelo. Il Maestro si incammina verso Gerusalemme e molti lo seguono perché convinti che sia il messia conquistatore e rivoluzionario che spodesterà il dominio romano e di conseguenza nutrono la speranza di spartirsi il bottino, il potere e le ricchezze che ne verranno, anche se può sembrare assurdo. Gesù, poiché sa cosa alberga nel cuore di quella gente, dice loro: ‘Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo”’. Seguire Cristo, cioè essere cristiani, non è una passeggiata di salute, vivere la fede non è ottenere privilegi o sperare che tutto vada liscio secondo i propri piani.
Se prego, se vado a Messa, se compio pratiche religiose non è per mettermi al sicuro ma per portare Dio dove voglio io o per sentirmi migliore di altri. Torniamo alle parole di Gesù: innanzitutto invita le persone ad amare Lui più di loro stesse e dei loro famigliari. Non è un appello a non amare bensì ad andare oltre i legami più stretti e oltre l’amor proprio. Quante volte chiediamo a Dio cose per noi o per coloro che amiamo cercando di portare il Signore dove vogliamo noi, credendo di sapere qual è il bene nostro e altrui. Camminare nella fede significa abbandonare le nostre richieste anche se buone e sante per abbandonarci alla volontà di Dio e dire a Gesù: “ti affido la mia vita o quella di chi amo e che mi è caro senza suggerirti cosa Tu debba fare, non ritengo di sapere cos’è meglio, fai Tu”. Spesso pensiamo che pregare serva per strattonare Gesù e portarlo a ciò che vogliamo noi, invece serve per metterci alla sua sequela e farci condurre ed accompagnare da Lui.
Arriviamo alla frase: ‘Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo’. La traduzione letterale è: sollevare la croce. L’evangelista fa riferimento ad un momento preciso,ossia quando il condannato doveva sollevare l’asse orizzontale della croce poiché quello verticale era già conficcato al suolo per recarsi verso il luogo dell’esecuzione. Spesso ci illudiamo che credere in Dio debba esimerci dal dover vivere dispiaceri, prove o lutti e abbiamo una concezione primitiva e superstiziosa della fede quasi fosse in grado di metterci al riparo dalle disgrazie e dalle prove della vita. Quando queste accadono ecco che andiamo in crisi e pensiamo che Dio e la preghiera non funzionino. La fede non è prendere una scorciatoia bensì percorrere il sentiero che c’è da fare insieme al Signore. Non è nemmeno pretendere che Gesù si sostituisca a noi per portare le nostre croci e tantomeno che le elimini come spesso ci aspetteremmo. Ogni persona ha la propria croce, a volte sono più di una: sono i problemi, le ferite della propria storia personale, le debolezze di varia natura, i momenti di crisi e di prova più o meno lunghi, le malattie, i lutti. Aver fede è innanzitutto chiamare con il suo nome quella croce, riconoscerla per ciò che è nella sua realtà e poi sollevarla per caricarla sulle spalle e allora chiedere a Gesù di donarci la forza per portarla e di camminare al nostro fianco per sostenerci, guidarci e rialzarci quando cadiamo.
Gesù aggiunge due esempi: quello di colui che calcola la spesa prima di costruire una torre e quello del re che prima di affrontare l’esercito nemico valuta se ha le forze necessarie per prevalere. Entrambi suggeriscono a quella gente e a noi oggi che se desideriamo intraprendere il cammino della fede dobbiamo aver chiaro di quale tipo di sentiero si tratta; non è un’autostrada, non è una via facile e pianeggiante; le fatiche, le prove, le malattie, i lutti non ci verranno risparmiati solo perché preghiamo. Se prendiamo la via della fede pensando di essere sotto la protezione di un amuleto magico per essere accontentati in tutte le nostre richieste ed aspettative abbiamo fatto male i calcoli.
La foto che vi presento l’ho scattata il 5 agosto durante la processione al santuario del Miserin sopra Champorcher. La fede ci conduce ad una mèta splendida ma non ci esime dalle salite. Non si cammina da soli, vi sono compagni di viaggio e il primo è Gesù ma ciò non vuol dire che non incontreremo fatiche, che non cadremo mai, che non ci verrà la tentazione di mollare, che non suderemo e che ciascuno non dovrà portare il proprio zaino più o meno pesante.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.