“Se un operaio muore in cantiere per un incidente di lavoro, si mette il cadavere in un sacco e lo si scarica in campagna, perché se prendi una condanna per omicidio colposo sul lavoro, poi te lo scordi di partecipare agli appalti pubblici…”. Una frase agghiacciante, pronunciata da un imprenditore edile a un collega, registrata dai carabinieri del Nucleo investigativo di Aosta nel corso di una lunga e silenziosa attività di intercettazione durata oltre un anno e mezzo. Un commento a un incidente realmente avvenuto in un cantiere della ditta in cui l'impresario lavorava è divenuto una delle tessere di un’inchiesta penale complessa e delicata, finora rimasta sotto traccia ma destinata a far tremare più di un palazzo.
Coordinata dalla procura di Aosta e condotta in assoluta riservatezza, l’indagine si concentra su ciò che potrebbe rappresentare una spiegazione 'parallela' alla continua e apparentemente inarrestabile apertura di cantieri lungo la tratta valdostana dell'autostrada A5. Dove la manutenzione è certamente doverosa, ma può anche rappresentare un’occasione d’oro per un presunto sistema di relazioni opache e interessi privati piegati al denaro pubblico.
Nove indagati, sei richieste di arresto
Nel fascicolo giudiziario, gestito in via esclusiva dalla magistratura di via Ollietti, ci sono i nomi di nove indagati: dirigenti, funzionari dello Stato e imprenditori attivi nel settore degli appalti pubblici in particolar modo gestiti dal ministero delle Infrastrutture. Le accuse, pesanti, spaziano dalla corruzione al riciclaggio, passando per la concussione, l’autoriciclaggio e altri reati patrimoniali legati all’aggiudicazione e alla gestione dei cantieri autostradali. Non risultano al momento personaggi politici direttamente coinvolti o a loro volta indagati, ma l'inchiesta ha dato origine ad altri e interessanti filoni.
Per sei di loro, la procura di Aosta ha richiesto la custodia cautelare in carcere e/o ai domiciliari. Tuttavia, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Aosta, Davide Paladino, applicando una delle novità introdotte dalla Riforma Nordio, ha disposto per ciascuno l’interrogatorio preventivo precautelare. Una fase interlocutoria, facoltativa ma significativa, che consente al gip di ascoltare gli indagati prima di decidere sull'applicazione della misura.
Dopo aver svolto tutti e sei gli interrogatori, il gip ha rigettato le richieste di arresto, ritenendo che allo stato degli atti non ci fossero elementi sufficienti per giustificare le misure cautelari. In un caso, ha anche accolto l’eccezione territoriale sollevata da un avvocato difensore, disponendo la trasmissione del procedimento a un’altra procura, poiché la presunta corruzione di cui è accusato il suo assistito si sarebbe concretizzata fuori dalla Valle d’Aosta. Il gip ha quindi ritenuto in astratto il concretamento della dazione illecita ma ha comunque respinto l'istanza di arresto. La decisione del gip non ha però chiuso il fronte giudiziario. La Procura ha impugnato il rigetto delle misure cautelari e si è rivolta al Tribunale del Riesame, che dovrà decidere nei prossimi giorni. Il ricorso appare come un segnale chiaro dell'intenzione degli inquirenti di difendere la solidità del quadro accusatorio e ribadire la necessità di un intervento restrittivo.
Cosa ipotizza l’inchiesta: un sistema parallelo
Ma come si sarebbero concretizzati i reati? I sospetti investigativi delineano uno scenario in cui i cantieri dell’A5 - spesso giustificati come indispensabili interventi di manutenzione - sarebbero stati strumentalizzati per attivare una rete di appalti a chiamata, con presunti scambi illeciti tra funzionari pubblici e imprenditori compiacenti. La corruzione, secondo l’impostazione accusatoria, avrebbe potuto riguardare agevolazioni nell’aggiudicazione, omissioni nei controlli, oppure modifiche dei capitolati a vantaggio di determinati soggetti.
Il tutto con un flusso continuo di denaro da reinvestire o, in certi casi, da 'ripulire' attraverso pratiche di riciclaggio e autoriciclaggio, secondo quanto emergerebbe dalle indagini.