Nella prima lettura Mosè si rivolge al popolo di Israele per ricordare che le parole che Dio ha donato, in primis i Comandamenti, non sono impraticabili e questo vale anche per ciò che ha insegnato Gesù. Se dovessimo riassumere con una parola i Comandamenti e quanto scritto nei Vangeli potremmo dire che Dio ci invita ogni giorno ad amare, parola che troviamo nel brano di Luca dove un dottore della Legge mette alla prova Gesù chiedendogli quale sia il segreto per ereditare la vita eterna e Lui risponde ricordargli il cuore della Legge ebraica: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”.
Amare è un verbo inflazionato che rischia di smarrire l’autentico significato. Gesù narrando la parabola del buon samaritano suggerisce che amare non è semplicemente lasciarsi trasportare dai sentimenti ma richiede sforzo, impegno, è un cammino per andare oltre il nostro io. L’innamoramento è qualcosa che sfugge al controllo, accade in modo inaspettato ma amare è cosa ben diversa, richiede il coinvolgimento di ragione e volontà. Amare Dio non è provare un formicolio nel cuore o nello stomaco, a volte può accadere che pregando si possa esperimentare qualche moto di commozione o di trasporto interiore ma la fede non può essere ridotta ad un voler inseguire e provare emozioni; come in ogni relazione così’ anche con il Signore non ci può essere soltanto fervore e calore ma ci vuole impegno, dedizione e fedeltà.
Amare Dio è qualcosa di molto concreto, si tratta innanzitutto di trovare il tempo per incontrarlo anche se a volte non ne ho voglia ma lo faccio perché so che mi fa bene; è saper dire dei no alla pigrizia o allo spontaneismo che porta a dire: “Io prego solo quando mi sento! Quando avverto in me trasporto per non rischiare di essere finto nei confronti di Dio!”. Pregare non è tutto 'rose e fiori, è prendersi un impegno, darsi un programma, è avere l’umiltà di riconoscere che amare il Signore non significa conquistare la sua benevolenza a suon di orazioni e di pratiche religiose semmai queste servono per aprire il nostro cuore, spesso chiuso ed indurito, e allenarlo ad andare verso Dio e verso gli altri.
La parabola che racconta Gesù ricorda che anche amare le persone richiede sforzo e lo percepiamo proprio dai verbi che si riferiscono alle azioni che il samaritano compie nei confronti dell’uomo caduto nelle mani dei briganti e malmenato: gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore. Amare significa provare compassione, parola che deriva da cum-patire, patire con, è saper stare vicino agli altri in ciò che vivono, il contrario è l’indifferenza.
La compassione è una caratteristica peculiare di Dio in quanto Lui è sempre in uscita ma anche noi possiamo viverla, non è fuori dalla nostra portata, per praticarla occorre innanzitutto riconoscere con umiltà che non nasce spontanea bensì è un dono da domandare a Dio e poi richiede allenamento, lo sforzo soprattutto di uscire da noi stessi per aprirci agli altri e a ciò che accade.
Amare non è qualcosa di astratto o puro trasporto sentimentale ma è sforzo, è concretezza, è sapersi dire dei no ma anche dei sì, è andare oltre la pigrizia, l’egoismo, l’indifferenza: è usare gli occhi per accorgermi degli altri, è usare le gambe e i piedi per avvicinarmi, accostarmi, farmi vicino; è tendere le orecchie per imparare ad ascoltare prima di parlare, è sporcarmi le mani e rimboccarmi le maniche; è donare qualcosa di ciò che possiedo per aiutare chi è nella necessità.
L’uomo che cammina (2012) è un’opera di grande effetto realizzata dall’artista Giorgio Tentolini (1978). Una figura umana viene verso di noi, si fa largo per uscire e liberarsi da una trama che pare ostacolarla, non a caso è realizzata da tre reti in pvc incise a mano con un fondale di cotone nero.
Amare il Signore e il prossimo non è impossibile ma richiede un cammino costante dove occorre umiltà per chiedere aiuto a Dio ed allo stesso tempo un continuo sforzo per districarci ed uscire ogni giorno, ogni istante dalle reti dell’orgoglio che spesso ci avvolgono e ci attanagliano.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.
Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.
Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.
Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.