Dopo quasi vent’anni, la Valle d’Aosta si prepara a dotarsi di un nuovo Piano di Tutela delle Acque-PTA. Il Consiglio Valle sta discutendo in queste ore l’aggiornamento di questo fondamentale strumento di programmazione ambientale, atteso da tempo e oggi più che mai necessario alla luce delle trasformazioni climatiche e della pressione antropica sugli ecosistemi idrici.
Il Piano vigente risale al 2006. Da allora, lo scenario è profondamente mutato: ghiacciai in ritirata, deflussi ridotti, conflitti d’uso tra agricoltura, energia e turismo. Per questo, le associazioni ambientaliste valdostane, a partire da Legambiente, accolgono con favore l’avvio dell’iter di approvazione ma lanciano un appello alla politica: “Basta buoni propositi, servono fatti”.
In un comunicato congiunto diffuso oggi, Legambiente VdA, Valle Virtuosa, Giù le mani dalle Acque e da CVA sottolineano l’importanza del documento ma anche le criticità da affrontare, già portate all’attenzione della Commissione consiliare competente. “Apprezziamo i principi generali del Piano – scrivono le associazioni – come il ripristino dell’ambiente acquatico e la partecipazione dei territori. Ma senza strumenti di attuazione efficaci, resterà solo carta”.
Le criticità evidenziate
Tra i principali nodi sollevati vi sono:
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Tutela della fauna ittica, con la richiesta di interventi concreti per garantire la continuità dei corsi d’acqua e la risalita dei pesci, soprattutto nelle aree protette. “Gli attuali interventi del Consorzio Pesca – lamenta Legambiente – non sono sufficienti”.
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Gestione dei sedimenti e ripristini ambientali, in particolare durante gli svasi delle dighe e in presenza del fenomeno dell’hydropeaking (variazioni rapide della portata d’acqua dovute alla produzione idroelettrica), che possono causare impatti significativi sull’equilibrio fluviale.
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Controlli e sanzioni, che mancano o risultano inefficaci: “Servono misurazioni affidabili e sanzioni vere per chi viola le regole”, scrivono gli ambientalisti.
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Deflusso ecologico, da rivedere soprattutto nelle zone più vulnerabili, dove il rilascio minimo d’acqua da parte degli impianti non garantisce la sopravvivenza degli ecosistemi.
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Tutela degli ambienti glaciali e post-glaciali, sempre più fragili e in regressione: si chiede un quadro normativo chiaro e vincolante.
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Compatibilità tra usi diversi dell’acqua, dove Legambiente ricorda che “la salute dei fiumi deve venire prima delle esigenze economiche”.
Concessioni vecchie e nuove: regole diseguali
Uno dei punti più controversi riguarda il fatto che le nuove regole del Piano si applicherebbero solo alle nuove concessioni o ai rinnovi, escludendo le grandi centrali idroelettriche già in attività, che continuerebbero a operare secondo normative ormai superate. “Una disparità inaccettabile – accusano Legambiente VdaA e le altre associazioni – che rischia di vanificare la portata dell’intero Piano”.
Le richieste: tavoli di confronto, vigilanza e trasparenza
Per scongiurare il rischio di un Piano inattuato, le associazioni ambientaliste chiedono:
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Il coinvolgimento nei tavoli tecnici, a partire dalla Cabina di regia prevista nel documento;
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La riattivazione dell’Osservatorio regionale sulla crisi idrica, inattivo dal 2023;
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L’istituzione di un nucleo di vigilanza ambientale indipendente, con poteri di controllo sul territorio;
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Una reale “concertazione con il territorio”, che dia voce a cittadini, comitati, enti locali e portatori di interesse.
“La difesa dell’acqua – conclude la nota degli ambientalisti – non può essere lasciata a promesse generiche. Deve diventare un impegno concreto, condiviso e trasparente. Perché l’acqua è di tutti, e tutelarla è un dovere collettivo”.