Religio et Fides - 18 maggio 2025, 07:09

'La coscienza di Giuda', 1891-Nikolaj Nikolaevič Ge (1831-1894)

Lettura d'arte domenicale a cura di Don Paolo Quattrone

'La coscienza di Giuda', 1891-Nikolaj Nikolaevič Ge (1831-1894)

Il Vangelo si apre con Giuda che abbandona il cenacolo per andare a tradire il Maestro, è l’esempio dell’anti amore, rifiuta l’amore di Dio e lascia il gruppo degli apostoli. Domenica scorsa ho sottolineato che essere cristiani consiste nel camminare tenendoci per mano con il Signore e con gli altri, Giuda, abbandona tutto ciò e si incammina verso il baratro e la notte esistenziale.

Gesù e i dodici sono riuniti per celebrare la Pasqua ebraica durante la quale il Maestro rivela il suo amore che desidera salvare tutti istituendo l’eucaristia e invita il gruppo ad entrare in una logica di amore e di servizio lavando loro i piedi. Eppure, in questo contesto c’è spazio per il tradimento, per l’anti amore, si può far parte del gruppo dei discepoli, cioè, essere cristiani sulla carta ma avere il cuore lontano dal divino e dall’uomo. Il brano di Vangelo ci pone di fronte ad un interrogativo importante: chi è un autentico cristiano? Chi è scritto in un registro di battesimo? L’aver fatto comunione e cresima? Essersi sposati in chiesa? Far parte di un gruppo ecclesiale? Frequentare la parrocchia? Parlare spesso di fede o di morale? Andare a Messa ogni giorno o tutte le domeniche?

Cristiano è innanzitutto colui che ha una relazione di amicizia con Gesù, una frequentazione che in pratica si gioca sull’avere una vita di preghiera personale, trovare quotidianamente il tempo per incontrarsi con il Signore, ascoltare la sua Parola per poi intessere un dialogo; in tutto ciò è compresa la partecipazione alla vita liturgica della Chiesa dove il vertice è certamente la Messa. Dunque chiediamoci: tra me e Gesù c’è feeling? Trovo il tempo per frequentarlo? Prego e vado a Messa solo per timbrare il cartellino oppure perché credo che attraverso questi due canali coltivo l’amicizia con Lui, rimango saldo nella fede e gli permetto poco per volta di influenzare il mio modo di pensare e di agire? Su questo primo punto possiamo soltanto noi stessi rispondere se siamo cristiani sulla carta o di fatto mentre vi è un altro aspetto che rivela in maniera più evidente se siamo credenti di facciata o di sostanza.

Questo è quanto ricorda Gesù agli apostoli quando lava loro i piedi e dopo che Giuda abbandona il cenacolo: “Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Da cosa capiamo se siamo davvero cristiani e da cosa se ne accorgono gli altri? Se sappiamo amare il prossimo e prenderci cura gli uni degli altri, coscienti del fatto che non è sempre facile e spontaneo farlo ma è un obiettivo al quale tendere sempre perché è lì che si gioca la nostra credibilità di cristiani e di Chiesa. Frequentare Gesù dovrebbe aiutarci a cambiare il nostro modo di relazionarci con le persone, dilatare il nostro cuore, aprire la nostra mente per diventare disponibili ad aprirci e ad accogliere gli altri. Vi cito un passaggio che si trova nella prima lettera di san Giovanni apostolo, non a caso lo stesso autore del brano evangelico che stiamo esaminando: “Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello”. Nessuno può pretendere di vedere quanto amore una persona può provare per Dio ma di certo può accorgersi se nutre amore per il prossimo.

Nikolaj Nikolaevič Ge (1831-1894) è stato un pittore russo, da giovane intraprese gli studi scientifici per poi abbandonarli ed entrare nell’Accademia imperiale d’arte di san Pietroburgo diventando celebre per i suoi quadri a soggetto religioso come La coscienza, Giuda del 1891. L’apostolo dopo aver abbandonato il Maestro e i suoi compagni si trova nel buio. Stiamo attenti perché anche noi possiamo correre il rischio di tradire la nostra identità di credenti e questo avviene ogni volta che pur ritenendoci cristiani in realtà, proprio come Giuda, il nostro cuore è altrove, ha abbandonato Dio e gli altri ed è relegato nella notte. 

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura.

Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea. Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.

Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.

Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.

Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.  

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

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