Alcuni apostoli tornano a pescare, hanno visto sì il Maestro risorto ma non comprendono come la sua resurrezione possa davvero cambiare la loro esistenza e dunque tornano al loro mestiere. Quante volte anche noi, pur celebrando e festeggiando la Pasqua, rischiamo di pensare che sia qualcosa che non ci tocca sul serio.
Gesù allora appare nuovamente e lo fa concedendo loro una pesca abbandonante e attendendoli a riva preparando una grigliata di pesce. Ogni volta che leggo questo brano mi colpisce che Gesù pur essendo risorto, mantiene umanità e concretezza, non si distacca dalla vita reale e sapendo quanto per noi sia importante mangiare e stare in compagnia decide di sfamare gli apostoli e di dialogarci insieme per riportarli alla loro vera missione di pescatori di uomini.
Gesù che mangia e dialoga sulla riva con i discepoli ci rimanda alla messa che è il culmine della vita cristiana, dove l’umanità incontra Gesù risorto e perciò vivo, capace di parlarci, di sostenerci, di donarci vitalità e di salvarci. Occorre allora fare una riflessione: le messe che celebriamo ci aiutano a percepire tutto questo? La liturgia e in particolare quella eucaristica ci aiuta a cogliere che siamo a contatto con la forza vivificante di Dio? La messa attraverso i canti, i gesti, le parole, i silenzi, la cura degli spazi e il radunarci dovrebbe farci intuire che Gesù non viaggia distante mille miglia dalle nostre vite ma le tocca, vi entra per parlarci, per farci sentire che è vicino, ci sostiene, ci dona vitalità e ci riconduce alla vera bellezza.
Molte volte accade di vivere questa esperienza ma non nascondo che ogni tanto, raramente per fortuna, succede di avvertire l’opposto. Cito un caso lampante e recente che ha colpito non solo il sottoscritto ma anche altri preti ed educatori giovani ed adulti che erano presenti alla Messa di chiusura del Giubileo degli adolescenti in piazza san Pietro domenica scorsa. Circa 200.000 ragazzi provenienti da tutta Italia e da varie parti del mondo, accompagnati dai loro sacerdoti ed educatori, con i loro zaini carichi di sogni, di dubbi, di energia, di fatiche, di problematiche e dinamiche tipiche di quell’età sono stati catapultati in una liturgia completamente fuori dal tempo, affastellata di canti in latino, con pochi accenni da parte di chi presiedeva alla vita concreta dei ragazzi; è vero che c’era il lutto per la morte del papa ma questo non vuol dire offrire una celebrazione spenta; l’apice è stato il Padre Nostro cantato in latino! Abbiamo vissuto una liturgia lontana e distaccata dalla vita, che non ha saputo parlare agli adulti e tanto meno agli adolescenti per i quali era dedicata.
Sia ben inteso che Gesù continua ad essere vivo e risorto e il suo amore a essere efficace e ad agire nonostante i nostri errori ma certe liturgie ce lo rendono ingessato e distante, come se stesse solamente nei cieli volando tra le note e i ghirigori di canti precisi ma vetusti che non toccano l’animo e la sensibilità dell’uomo contemporaneo.
Ho citato un caso recente ma ce ne sarebbero anche altri, dove si ha la sensazione di entrare in un negozio di antiquariato più che in ambiente familiare dove Gesù con semplicità e bellezza si intrattiene per dialogare e mangiare con noi proprio come evoca il brano di Vangelo e il dipinto di James Tissot (1836-1902).
Il pittore francese a un certo punto del suo percorso artistico passò da soggetti che ritraevano la vita mondana del tempo per dedicarsi completamente alle rappresentazioni bibliche, come nel caso di questo quadro: 'Pasto di Gesù nostro Signore con gli apostoli' (1886-1894). Si respira un senso di familiarità, di umanità e allo stesso tempo di sacralità; Gesù ha il capo coperto a ricordarci che siamo pur sempre di fronte al mistero di Dio ma ciò non vuol dire rinchiuderlo dentro anticaglie liturgiche per renderlo sacro.
Non intendo compiere una critica gratuita bensì un invito per tutti noi che ci occupiamo di fare liturgia: vescovi, preti, diaconi, consacrati e laici a mantenere una sana e costante attenzione affinchè ciò che si celebra possa sintonizzarsi con la vita della gente tenendo conto dei destinatari per non trasformare le messe in momenti per giocare all’antico bensì come occasioni preziose per fare esperienza che Gesù è davvero risorto, è davvero vivo e ci offre parole, conforto, gioia, speranza e vitalità che sono in grado di toccare e di trasformare l’esistenza di ciascuno.
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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta. Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte. Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea.
Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui. Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito. Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra.
E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore. Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore.
Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.