Attualità - 23 maggio 2024, 10:02

23 maggio 1992, siamo ancora Capaci di ricordare

Il Consiglio regionale della Valle d'Aosta ha ricordato oggi la morte di Giovanni Falcone espondendo accanto alle bandiere istituzionali un lenzuolo bianco simbolo della legalità e in ricordo di tutte le vittime di mafia

Photo Credits: Fondazione Falcone

Photo Credits: Fondazione Falcone

«La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni» Giovanni Falcone

Ore 17:57 del 23 maggio 1992; nei pressi di Capaci (sul territorio di Isola delle Femmine) esplode un tratto dell'autostrada A29, mentre vi transita il corteo della scorta con a bordo il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli agenti di Polizia, sistemati in tre Fiat Croma blindate. Con una carica composta da tritolo, RDX e nitrato d'ammonio con potenza pari a 500 kg di tritolo, il tratto autostradale si trasforma in un agghiacciante quanto spietato scenario.Testimone di un male ormai radicato, oscuro e implacabile. 

Oltre al giudice, muiono altre quattro persone: la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Ventitré i feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo.

Dal 1986 al 1992 prende vita il maxiprocesso, l’opera di ingegneria giudiziaria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Condotto a Palermo contro la mafia siciliana, più specificamente contro la famiglia criminale di “Cosa Nostra”, il processo fu voluto e avviato dal giudice Giovanni Falcone, che aveva acquisito con il suo acume, sufficenti informazioni per aprire una procedura giudiziaria contro oltre 400 persone sospettate di essere affiliate alle attività criminali della mafia. La maggior parte degli imputati fu accusata di associazione a delinquere di stampo mafioso, finalizzata al traffico di droga, estorsione, omicidio e altri reati. 

Fu il primo processo a essere condotto con il sistema dei “pentiti”, attraverso la collaborazione dei membri della mafia che fornivano informazioni sulle attività della criminalità organizzata. Ricordiamo la  collaborazione di  Tommaso Buscetta, uno dei capi mafia, il quale fornì informazioni preziose agli investigatori sulla struttura di “Cosa Nostra”, sul suo funzionamento e sulle attività illecite compiute. Grazie ai suoi racconti e alle testimonianze degli altri “pentiti”, il processo permise di fare luce sui movimenti della mafia in Sicilia e in tutta Italia; furono emesse centinaia di condanne, tra cui quella del leggendario capo della mafia corleonese, Salvatore detto “Totò” Riina, che fu condannato all’ergastolo in contumacia e che venne arrestato solo il 15 gennaio del 1993. Tra gli imputati ci furono anche Bernardo Provenzano (in contumacia) e Leoluca Bagarella. Il processo si caratterizzò per numerosi episodi di intimidazione e violenza, con diversi testimoni e giurati costretti a fuggire o vivere sotto protezione. A causa della complessità processuale, il maxiprocesso durò circa sei anni, considerando dal primo al terzo grado di giudizio. Alla fine del processo di primo grado, molti dei principali boss mafiosi furono condannati a lunghe pene detentive -inclusi 19 ergastoli- mentre altri furono assolti o condannati solo per reati minori.  346 le condanne, le assoluzioni 114, gli anni di carcere 2665.

Il processo fu ritenuto un fondamentale passo in avanti nella lotta alla mafia italiana e nella costruzione di una cultura della legalità in Italia, essendo il più grande e complesso dibattimento mai affrontato dalla giustizia italiana; un’opera di ingegneria processuale che non aveva precedenti ma anche l'esempio di una intensa collaborazione tra le istituzioni per combattere la criminalità organizzata e la corruzione. 

Due uomini che hanno dato un senso alla Giustizia

I due giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino rappresentano il simbolo della lotta alla mafia degli anni ’80 e ’90 in Italia. Il loro immenso lavoro è stato fondamentale per la cattura di numerosi capi della mafia siciliana, tra cui Totò Riina, principale responsabile della strage di Capaci e di via D’Amelio, considerato il boss tra i più spietati e influenti dell’epoca. Entrambi i magistrati, amici da sempre e colleghi fidati, con il loro lavoro dimostrarono al mondo e confermano oggi la forza e la determinazione del popolo italiano nella lotta alla criminalità organizzata. Grazie all’impegno e alla determinazione di Giovanni e Paolo, sono stati comminati pesanti provvedimenti di giustizia nei confronti dei boss mafiosi, contribuendo in maniera significativa alla decadenza o comunque alla disgregazione dell’organizzazione criminale in Sicilia. Purtroppo, i due magistrati hanno pagato con la vita l’impegno nella lotta alla mafia, venendo entrambi barbaramente assassinati con ordigni esplosivi il 23 Maggio e il 19 Luglio del 1992. Tuttavia, il loro lavoro e il loro esempio hanno continuato a rappresentare una guida e un’ispirazione per coloro che, tuttora, si impegnano contro il crimine organizzato, nel tentativo di arginare fenomeni di corruzione in Italia e nel mondo. La sentenza del maxi processo  conferma la tesi di Giovanni Falcone: Cosa nostra è un’organizzazione unitaria e verticistica.

"Il sacrificio di Falcone, Morvillo e dei nostri coraggiosi colleghi non è stato vano. Ha acceso una fiamma di speranza che ha attraversato l’Italia, ispirando una mobilitazione senza precedenti contro la mafia. Il loro coraggio ha aperto la strada a una nuova era di giustizia e legalità, dimostrando che lo Stato può e deve combattere il crimine organizzato con fermezza e determinazione. Oggi, mentre commemoriamo il 32° anniversario di questa tragedia, dobbiamo rinnovare il nostro impegno per la giustizia e la libertà. Dobbiamo onorare la memoria di coloro che hanno perso la vita nella lotta contro la mafia, continuando a combattere per ottenere definitivamente un’Italia libera dalla criminalità organizzata. Che il loro esempio continui a guidare le nostre azioni, illuminando il cammino verso un’Italia migliore, più sicura e più giusta per tutti i suoi cittadini". Il ricordo della Uil Polizia

La voce di Maria, sorella di Giovanni Falcone

Il Consiglio regionale della Valle d'Aosta ha ricordato oggi la morte di Giovanni Falcone espondendo accanto alle bandiere istituzionali un lenzuolo bianco simbolo della legalità e in ricordo di tutte le vittime di mafia.

 

 

La Redazione de Laprimalinea

SU