Cronaca - 17 ottobre 2023, 17:27

Processo Geenna: I giudici si riservano la decisione sulla 'pericolosità sociale' di Tonino Raso

Processo Geenna: I giudici si riservano la decisione sulla 'pericolosità sociale' di Tonino Raso

Secondo dibattimento in cinque giorni (il primo si è svolto il 12 ottobre scorso in Corte di Appello e verteva sulla confisca dei beni all'imputato), è durata poco più di quarto d'ora in tribunale questa mattina, martedì 17 ottobre, l'udienza sul ricorso presentato dai difensori di Antonio 'Tonino' Raso (foto sotto), ristoratore aostano scarcerato il 31 marzo scorso nell'ambito del procedimento Geenna su una 'ndrina valdostana, ma ancora sottoposto a sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per 'pericolosità sociale'. La difesa di Raso (avvocati Pasquale Siciliano e Ascanio Donadio) dopo la sua scarcerazione aveva chiesto l'annullamento delle misure di sorveglianza, richiesta rigettata dal tribunale; ed è proprio sulla presunta pericolosità sociale di Raso che i giudici questa mattina, sentita la richiesta di annullamento del provvedimento di rigetto da parte dei legali si sono riservati la decisione nei prossimi giorni, probabilmente in attesa degli esiti degli altri due processi di appello.

Arrestato il 23 gennaio 2019 insieme ad altri 15 indagati, Raso è stato scarcerato il 31 marzo scorso insieme agli altri tre imputati nella 'costola aostana' dell'inchiesta Geenna (Monica Carcea, Nicola Prettico e Alessandro Giachino) dopo oltre quattro anni di custodia cautelare. L'Appello 'bis' scaturito dalla sentenza di Cassazione del gennaio scorso per tutti e quattro è fissato per il prossimo 15 novembre e dovrà stabilire se vi fu o meno associazione per delinquere di stampo 'ndranghetista tra gli imputati.

Ma per Raso e solo per lui, dopo l'arresto nel 2019 era stata disposta anche la confisca dei beni e in seguito nonostante fosse detenuto gli erano state applicate le misure di sorveglianza perché ritenuto portatore di 'pericolosità sociale', condizione ribadita dai giudici di primo e secondo grado ma non così chiara per la Suprema Corte di Cassazione, secondo cui "l'acquisizione dei beni confiscati non risulta correlata cronologicamente al giudizio di pericolosità sociale qualificata formulato nei confronti di Raso dalla Corte di appello di Torino, occorrendo verificare se tale condizione soggettiva, che si faceva risalire al 2009, si era manifestata al momento dell'acquisto dei beni confiscati". Tradotto: non è detto che Raso abbia ottenuto i beni che possiede in ragione della sua 'pericolosità pubblica' e quindi da condotte criminali, ma piuttosto potrebbero essere frutto del suo lavoro.

Per la Dda la condanna comminata a Raso in primo grado “corrobora il compendio univocamente orientato nel senso della pericolosità sociale”, mentre i suoi difensori hanno rilevato e ribadito oggi "l'assenza di contestazioni nei suoi confronti quanto alla commissione di reati-fine dell’associazione”, e anche "l'asserita interruzione dei rapporti con i coimputati quantomeno dall’anno 2017", ricordando “la risoluta dichiarazione di condanna dell’abito mentale e delle dinamiche operative 'ndranghetiste espressa nel corso del dibattimento di Aosta quando lui stesso aveva dichiarato "la ‘ndrangheta è la cosa più schifosa”.

L'accusa insiste invece a sostenere che la pericolosità sociale di Raso risalirebbe "quanto meno al 2009”. Inoltre, “l’acquisizione, o quanto meno l’alimentazione” di una serie di beni del suo patrimonio sarebbe avvenuta “in costanza di detta pericolosità e in condizioni di palese sproporzione economico-reddituale rispetto al valore dei medesimi”. Tesi che però non aveva convinto i Supremi Giudici.

pa.ga.

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