Religio et Fides - 04 giugno 2023, 09:00

'Concetto spaziale, Attese'; 1964 - Lucio Fontana

Lettura d'arte domenicale a cura di Don Paolo Quattrone

'Concetto spaziale, Attese'; 1964 - Lucio Fontana

La solennità della Trinità è un invito a entrare nel cuore della fede per guardare verso Dio e ricordarci che non si tratta di un essere 'solitario' bensì tre persone divine, Padre e Figlio e Spirito Santo, legate da un profondo amore.

Volgerci alla Trinità non serve solo per far luce sull’autentica identità di Dio ma guardando ad essa capiamo chi siamo noi, come se ci contemplassimo allo specchio scoprendo il nostro vero volto, la nostra natura e vocazione.

Se Dio non è solitario vuol dire innanzitutto che non siamo chiamati alla solitudine e all’isolamento ma siamo fatti per le relazioni che sono la componente più preziosa della vita anche se queste implicano gioie e dolori. Guardare alla Trinità è ricordarci che siamo fatti per relazionarci con il Signore e con gli altri perciò dobbiamo essere molto vigilanti su tutte quelle forme di chiusura e di ripiegamento che non ci fanno bene e che vanno contro la nostra vera natura; con questo non intendo dire che non dobbiamo ricavarci momenti disana solitudine, di silenzio o di meditazione per stare con noi stessi e sintonizzarci con la nostra essenza.

La Trinità è amore sovrabbondante a tal punto che ha dato origine alla vita, all’universo, all’umanità, anche noi siamo chiamati ad essere fecondi, a generare vitae questo avviene uscendo da noi stessi, mettendoci in gioco là dove viviamo, nelle scelte che abbiamo assunto mentre non ci giova viaggiare con il freno a mano tirato, vivendo al risparmio, tenendo tempo e risorse soltanto per noi. Essere credenti vuol dire allora provare a far fiorire la nostra vera natura di figli di un Dio che è fatto da tre persone che si relazionano tra loro e che si aprono alla vita e all’umanità perciò stride un cristiano chiuso in se stesso, che non cerca di accogliere, che non investe con creatività i propri mezzi e talenti. La seconda lettura tratta dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi aggiunge ulteriori spunti di riflessione in particolar modo in questo passaggio : “Fratelli, siate gioiosi, tendete alla perfezione, fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo”.

“Tendete alla perfezione“ non è diventare impeccabili, perché non lo siamo, oltretutto la perfezione è demoniaca, nasconde in sé il desiderio di voler fare a meno di Dio contando soltanto su noi stessi bensì la frase di San Paolo è un invito a ispirarci alla Trinità che è l’unica perfetta nell’amore. Da cosa si dovrebbero riconoscere i cristiani? Non soltanto dai riti e dalle liturgie che celebrano ma anche dall’amore che si gioca, come ricorda l’apostolo, nelle piccole cose: “Fatevi coraggio a vicenda”; spesso invece siamo lì a farci le scarpe reciprocamente e godiamo nel vedere gli altri in difficoltà anziché sostenerli e rincuorarli.

Nell’incoraggiarci a vicenda è implicato anche l’imparare a camminare insieme, a vivere la fede superando campanilismi e pregiudizi tanto più in questo tempo dove i numeri sono quelli che sono e perciò non ha senso che ognuno viva la fede in modo isolato. “Abbiate gli stessi sentimenti” è metterci nei panni degli altri invece che additarli e giudicarli.

“Vivete in pace”: che brutto invece constatare come in tanti ambienti di Chiesa ci si fa la guerra per motivi di potere e di protagonismo, facciamo veglie e rosari per la pace nel mondo e poi siamo i primi a scatenare conflitti tra noi.

“Salutatevi a vicenda”, sembra una cosa da poco e invece dice tutto, l’amore si rivela nei piccoli gesti, per esempio con un sorriso che accoglie più che mille slogan o tante parole, con il salutarsi quando si arriva e si va via, mangiando qualche volta insieme, dedicandosi del tempo per fare quattro chiacchiere e non solo per fare cose.

Tre tagli su una tela (Concetto spaziale, Attese del 1964) può sembrare un’opera banale mentre si tratta di uno dei tanti quadri che Lucio Fontana (1899-1968) ha creato con uno scopo ben preciso: sulla scia della corsa allo spazio degli anni’50-’60 desiderava creare lo spazio vero sulla tela.

Padre e Figlio e Spirito Santo non sono finzione ma realtà, tre persone che sono presenti nello spazio e nel tempo e che ci invitano ad essere a loro immagine, persone aperte che rifuggono ogni forma di chiusura e di appiattimento, che sanno fare spazio per accogliere e per donarsi.

 

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Letture d’arte è un’idea nata dieci anni fa che don Quattrone ha realizzato e che sta portando avanti per il settimanale Il Corriere della Valle della Diocesi di Aosta.

Si tratta del commento delle letture della domenica compiendo un viaggio nello sconfinato panorama della storia dell’arte.

Ogni settimana accosta la Parola di Dio della domenica ad un’opera, spaziando in varie forme espressive quali la pittura, la scultura, l’installazione, la fotografia, l’architettura. Si tratta di un percorso che si muove nelle varie epoche, senza pregiudizi, scoprendo la forza e la bellezza non solo dell’arte antica ma anche di quella moderna e contemporanea.

Questo cammino è iniziato quasi per gioco e sulla scia degli studi compiuti all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano dove Paolo Quattrone si è laureato nel 2008. La sfida è quella di riscoprire l’arte come canale privilegiato per rientrare in noi stessi, parlare di Dio e andare a Lui.

Il pensiero di fondo che caratterizza questa esperienza è quello che un’opera d’arte è tale nel momento in cui riesce a farci andare oltre la superficie, oltre la realtà. L’artista, come sosteneva Kandinskij, è un sacerdote che ha la missione di aprirci una finestra verso l’oltre, per farci accorgere che esiste una dimensione spirituale, per aiutarci ad esplorare i sentieri dello spirito.

Questo ha portato don Quattrone ad affermare senza ombra di dubbio che tutta l’arte è sacra. E’ un errore immenso distinguere tra arte sacra e profana! Esiste l’arte religiosa e non, ma non è il soggetto rappresentato che rende sacra o meno una pittura, una scultura, un brano musicale o un film ma è ciò che trasmette, l’energia, la forza che suscita nel cuore dello spettatore.

Questa esperienza è possibile non soltanto ammirando opere a soggetto religioso ma anche contemplando quadri, sculture, installazioni che apparentemente sembrano non comunicare nulla di profondo. Un’opera d’arte è tale quando acquista una sua autonomia, una vita propria, quando riesce a far compiere all’osservatore riflessioni e percorsi che vanno oltre le intenzioni dell’autore. Accostare Parola di Dio e arte vuol dire far convivere due canali che hanno la finalità di farci andare oltre la superficie, che conducono l’uomo a pensare, a scoprire la dimensione spirituale della propria esistenza.

 

don Paolo Quattrone-red.laprimalinea.it

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