Senza pretesa di verità biblica alcuna, ecco cosa è successo venerdì sera nell’Aula di Palazzo regionale.
Un consigliere che non ha mai nascosto il proprio disagio sull’allargamento della maggioranza a un collega decide di ‘dare un segnale’.
Un altro consigliere che da giorni lamenta di sentirsi ‘lasciato a sé stesso’ dal suo Movimento e si ritrova dall’oggi al domani allontanato dai tavoli decisionali decide anch’egli di ‘dare un segnale’.
I due però non si parlano, e così per due voti dissidenti che dovevano solo farla tremare, la nuova Giunta Testolin è stata affossata prima di nascere.
Tutto questo è sicuramente un modello, uno specchio, delle nostre vite in generale. Quante cose accadono che non vorremmo solo perché non parliamo abbastanza, o per nulla, con chi ci sta vicino, con chi per necessità o piacere di condivisione potrebbe anzi dovrebbe partecipare alle nostre scelte. O perché presuntuosamente temiamo di sentirci dire cose che non vorremmo; perché coltiviamo deleteri quanto risibili rancori.
La politica locale, nazionale, internazionale soffre di questo corto circuito comunicativo da diverso tempo e le conseguenze, com’è sotto gli occhi di tutti, possono essere tragiche, irreparabili ben più dell’incidente di Place Deffeyes.
Le famiglie, le nostre, ne soffrono non di meno e contro i muri di incomprensione che giornalmente costruiamo finiscono per infrangersi i sentimenti, il buon senso, la ragione. Stiamo edificando attorno alle nostre esistenze una rete protettiva virtuale assolutamente illusoria, basata su menzogne camuffate da certezze, ma che restano menzogne.
I rapporti personali diretti sostituiti da freddi messaggi elettronici privi di intonazione e carichi di comodi emoticon anemozionali; le invenzioni web di haters e manipolatori preferite alle informazioni verificate di onesti professionisti della comunicazione, tutto concorre al disfacimento culturale e sociale della nostra comunità, in un vortice babelico dove realtà e finzione diventano indistinguibili, dove a chi ha la voce più grossa viene data patente di verità e dove il mite può solo soccombere.
E poi si parla tanto, tantissimo, in questo mondo artificiale e impermeabile, tante parole a vuoto, puro esercizio di stile. Per convincere chi? Se stessi prima di chiunque altro. Per compiacere le sedie vuote del pubblico, anche. E anche di questo ciacolare nel buio la giornata di venerdì scorso è stata un formidabile esempio: in un Aula circondata dall’assenza di spettatori (tranne alcuni seri giornalisti animati da senso di responsabilità e ordine di servizio…) quasi tutti i consiglieri regionali si sono profusi, per ore, in interventi carichi di pathos, di promesse e ammonimenti, di ricordi e progetti. Poi il tragicomico risultato del voto e si torna tutti a casa con le corna lasciate nell’arena. Desolante, certamente, ma che almeno serva da lezione e non solo per i 35 eletti ma per tutti.
Esercitando un po’ di empatia tra loro, un po’ di sana comunione affettiva e non solo strategica, molto probabilmente i consiglieri regionali di maggioranza venerdì sera avrebbero incassato il risultato.
Facendo lo stesso tutti noi, riprendendo a guardarci negli occhi e ad ascoltarci col cuore, eviteremmo fatali fraintendimenti divisivi e vivremmo tutti, semplicemente, un vita migliore.